Futuro

Quando i media digitali si trasformano in armi di disinformazione di massa

La guerra si fa anche con la propaganda e strumentalizzando i social network. È tempo di un nuovo equilibrio dei poteri tra piattaforme, sistemi politici e cittadini. Per costruire un ecosistema informativo pulito
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12 ottobre 2023 Aggiornato alle 06:30

La guerra si fa anche con la propaganda.

Hamas, coerentemente, ha inondato i social network di messaggi, molto spesso falsi, che mettono gli israeliani in cattiva luce.

La Russia ha fatto altrettanto prima e durante la guerra in Ucraina.

Del resto, anche le campagne elettorali si vincono con la propaganda. E in Slovacchia i candidati filo-russi si sono incaricati di dimostrare che tra la propaganda e la disinformazione ci sono confini molto labili.

Sicché, se in relazione a questo genere di problemi ci sono ambiguità sul comportamento delle piattaforme che offrono servizi da social network, i media digitali si trasformano in armi di disinformazione di massa.

Elon Musk è nel mirino di tutti gli osservatori e politici per l’alluvione di false informazioni che secondo gli osservatori si sta abbattendo sui clienti di X, la piattaforma che un tempo si chiamava Twitter, come ha notato Sander van der Linden - professore a Cambridge, autore di Foolproof: Why Misinformation Infects our Minds and How to Build Immunity - intervistato da Business Insider, giornale che ha pubblicato un pezzo di Beatrice Nolan con molti link a informazioni verificate come false.

Si è difeso dalle accuse del commissario europeo Thierry Breton con la sua solita tattica: «Mi faccia sapere con precisione quali sono i post che secondo lui non vanno bene».

Breton ha risposto immediatamente che è Musk a dover provare che si sta comportando correttamente, facendo tutto il possibile per eliminare i post illegali.

Le leggi europee attribuiscono alle piattaforme giganti la responsabilità di evitare alla popolazione i danni derivanti dall’inquinamento dell’ecosistema dei media digitali.

In effetti, van der Linden sottolinea come la logica introdotta da Musk secondo la quale gli utenti che pagano possono anche cercare di essere remunerati per quello che fanno online ha ricreato le condizioni per un’esplosione di contenuti falsi ma capaci di conquistare attenzione, realizzati da organizzazioni di ogni tipo, politiche, criminali, militari, terroristiche, e così via.

Non ci si può aspettare che le piattaforme improvvisamente si occupino di garantire la qualità della convivenza civile. Non ci si può affidare alla lungimiranza dei proprietari delle piattaforme per ridurre la disinformazione. Non bastano i fact-checker per controinformare in modo sano e documentato i cittadini. E certamente non bastano le leggi. Ma è anche chiaro che occorre una strategia migliore di quella che si è finora seguita.

La quantità di messaggi potenzialmente destinati alla disinformazione aumenta nei contesti di conflittualità. E purtroppo questi ultimamente non fanno che moltiplicarsi.

I messaggi che distorcono la realtà sono spesso capaci di attrarre l’attenzione più di quelli riflessivi e meditati. E quantitativamente sono destinati a crescere grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Chi deve intervenire? I proprietari delle piattaforme? I sistemi politici? I cittadini? Ovviamente ciascuno di questi soggetti ha un compito e un ruolo in materia.

La strategia è di tipo costituzionale, dice Oreste Pollicino, della Bocconi.

Se i poteri di ciascuno di questi soggetti saranno mantenuti in equilibrio la democrazia potrà continuare a funzionare. Se uno soltanto di questi poteri dovesse prevalere in maniera assoluta, la democrazia rischierebbe.

Al momento il potere delle piattaforme è rampante, quello degli Stati è ambiguo: sono in difficoltà contro le piattaforme ma se vogliono possono rivalersi monitorando i cittadini in modi che un tempo erano impensabili.

I cittadini, avvolti in una complessità semi-paralizzante, sembrano condannati a subire il potere altrui.

Si assiste a una sorta di impasse.

I propagandisti in cattiva fede si stanno facendo largo senza grandi difficoltà, mentre la società civile, economica e politica sembra costretta a subire.

Le correzioni sono sempre possibili nel veloce mondo dell’Internet. Si possono immaginare molti scenari diversi. Ma non ci si può negare una possibilità desiderabile. Che i cittadini prendano in mano il proprio destino e inizino una dieta mediatica più sana, comprendendo che le piattaforme attuali creano dipendenza, alimentano insoddisfazione, abilitano quelli che informano, certo, ma senza distinguerli e soprattutto senza valorizzarli rispetto a quelli che disinformano.

In uno scenario del genere, possono emergere nuove piattaforme orientate a rispondere alle esigenze emergenti dei cittadini che vogliono social media più puliti, mentre le vecchie piattaforme attuali che non capiscono restano emarginate e si trasformano nei bassifondi dei media sociali.

Un segnale che va in questa direzione è evidente: il Financial Times riporta che molti importanti operatori della pubblicità stanno sconsigliando ai clienti di andare a investire su X. «È da evitare» ha detto uno di essi. E Martin Sorrell, un leader del settore, aggiunge: «La disinformazione sta danneggiando la credibilità di X».

Se se ne accorgono i pubblicitari, per i quali tutto questo è fatto, allora prima o poi se ne accorgeranno anche le altre aziende e i cittadini.

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