Futuro

Twitter, Elon Musk e la libertà di espressione

La strategia annunciata da Elon Musk per la piattaforma minaccia di distruggere lo stesso valore che dice di voler proteggere
Il miliardario Elon Musk: ha comprato Twitter
Il miliardario Elon Musk: ha comprato Twitter
Tempo di lettura 6 min lettura
27 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

Twitter è in fiamme perché Elon Musk si è comprato tutta la piattaforma, e certo, ci sono i suoi fan che sono felicissimi (grande imprenditore! Genio! Provateci voi! Viva la libertà di parola!) ma ci sono anche le persone che si preoccupano delle implicazioni di questa acquisizione. Non a torto, come vedremo.

I fatti sono questi: Twitter è una piattaforma dalle caratteristiche uniche, “un’infrastruttura sociale cruciale per la sfera pubblica contemporanea”, come spiega proprio su Twitter Philip Di Salvo, giornalista e docente specializzato nelle questioni etiche relative all’uso (e alla proprietà) dei social media. Non è rimpiazzabile da un giorno all’altro, non ha un omologo con caratteristiche tecniche paragonabili, è duttile e immediato ed è anche l’ultimo social in cui il testo non è stato scavalcato del tutto da immagini e video.

Forse per questo, e per la facilità con cui i contenuti possono essere divulgati e diventare virali passando inalterati da un profilo all’altro, è diventato una piattaforma su cui le fandom della cultura pop coesistono con l’attivismo (di ogni colore e segno) e la politica. Tutte le principali organizzazioni hanno un profilo su Twitter, come anche la maggior parte dei personaggi pubblici e dei leader mondiali (a parte Mario Draghi e Vladimir Putin, per motivi diversi). Donald Trump ce l’aveva: gli è stato chiuso dopo l’assalto alle sedi del Congresso americano, che lui ha pensato bene di fomentare sia dal vivo che con i suoi tweet.

Negli anni abbiamo assistito a diversi tentativi di costruire piattaforme alternative con funzionalità simili: le ultradestre hanno Parler e Gab, sul lato progressista c’è Mastodon, nessuno è riuscito a soppiantare Twitter per volume, frequentazione, rilevanza e per quella che i giornali definiscono, con un neologismo bruttino ma efficace, “notiziabilità”. Twitter è, con tutti i suoi limiti e tutti i problemi che conosciamo (disinformazione, scarsa tutela contro la violenza verbale e le minacce, presenza massiccia di troll) un servizio che non ha concorrenza.

C’è di che essere preoccupati per il suo futuro? In superficie, no: la piattaforma resta aperta, e per moltissima gente poco cambierà. Continueremo a postare meme, gif e battute più o meno fulminanti, ci saranno grandi polemiche sul nulla e reazioni collettive a stupidaggini dette altrove che faranno gridare alla cancel culture e al signoramia non si può dire più niente. Twitter, però, non è più proprietà di un gruppo di azionisti guidati da una dirigenza (capitanata da Jack Dorsey, tuttora il volto pubblico del social pur non essendone il CEO), ma una proprietà privata di un solo azionista, che può decidere in completa autonomia cosa farne, come usarlo, quali contenuti sono consentiti e quali non lo sono.

Può anche decidere, nel nome della libertà di pensiero, che le scarse limitazioni poste sui contenuti dal social così come si presenta oggi debbano essere rimosse per consentire a chiunque di comportarsi come preferisce: una strategia che Musk non ha ancora annunciato ufficialmente, ma che sembra conseguente rispetto alla sua volontà dichiarata di “verificare” gli “utenti reali”. Praticamente la fine dell’anonimato più volte invocata da chi non ha idea di come l’anonimato possa essere vitale in Paesi in cui la libertà di espressione è davvero soggetta a restrizioni, come spiega Luca Annunziata su StartupItalia.

Al di là dei limiti tecnici (come si fa a verificare milioni di persone?) ed etici (davvero vogliamo mettere i nostri documenti di identità mano a una piattaforma privata di proprietà di una sola persona, peraltro nota solo per la sua abilità nel fare soldi?), stiamo parlando di un cambiamento epocale nel modo in cui stiamo in rete. Senza contare il fatto che molte aggressioni e moltissima disinformazione arrivano da utenti perfettamente riconoscibili, ma – almeno in Italia – le leggi intorno a quello che avviene sui social sono carenti, per non dire inesistenti.

Qui non si tratta di fare il tifo, di aderire al fan club di Elon Musk o di proclamare la necessità di mollare la piattaforma per andarsene… non si sa bene dove. Mastodon, di cui si parla spesso come alternativa, è una costellazione di comunità frammentate e chiuse che non si parlano fra di loro: altro che bolla, siamo proprio alla bollicina, al quartierino, al villaggetto. Il bello di Twitter, entro certi limiti, è la casualità, il tweet che non ti aspetti da qualcuno che non segui ma che è stato spinto nella tua timeline dal like di qualcun altro, il profilo poco seguito ma esilarante, le cricche che si intersecano e chiacchierano fra di loro, le liste da seguire per essere aggiornati su un argomento di proprio interesse, ma anche gli argomenti che arrivano da galassie lontane lontane a stuzzicare la nostra fantasia.

Si tratta di domandarsi onestamente quanto l’evidente megalomania di Elon Musk possa essere dannosa non solo per Twitter, ma in generale per internet come la conosciamo: un mezzo imperfetto, a volte tossico, ma che ha permesso a moltissime voci marginalizzate di emergere, ha consentito a chi era minacciato da regimi oppressivi di farsi sentire mascherando la propria identità, ci ha fatto ridere insieme a profili palesemente fittizi (basti solo pensare a quelli che sono parodia di personaggi politici di spicco: il mio preferito del momento è Darth Putin).

Jack Dorsey, fondatore di Twitter, dice che non ci dobbiamo preoccupare, che lui ha fiducia nella visione di Elon. Lo ha detto con un thread che comincia con un pezzo dei Radiohead (Everything in Its Right Place) e continua con dei tweet in cui il social viene chiamato “la cosa più vicina che abbiamo a una coscienza collettiva” (eh?) e dice che Elon (i tech bros si chiamano tutti per nome, chiaro) ha la missione di estendere la “luce della coscienza” (ancora una volta: eh?).

Jack, perdonaci: abbiamo qualche dubbio. La mossa di Elon Musk sembra più un modo per provare al mondo che lui può fare quello che vuole, perché chi ha i soldi può tutto, e lui i soldi li ha. Una prova di forza, non una visione per un futuro inclusivo, rispettoso e libero. Non sarebbe la prima volta, non sarà l’ultima in cui ci verrà ricordato che i ricchi hanno un potere che i poveri non avranno mai.

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