Diritti

Marocco: la destinazione delle migranti in cerca di lavoro

Nel 2020, almeno 100.000 persone sono arrivate nel Paese: più della metà erano donne. Il reportage di Deutsche Welle mostra come molte abbiano trovato un’attività retribuita per aiutare le famiglie lasciate
Credit: Mohamed Nohassi
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
3 ottobre 2023 Aggiornato alle 10:00

Non solo una destinazione di passaggio: da anni il Marocco accoglie migliaia di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, di cui quasi la metà donne. Secondo le stime del Global Migration Data Portal relative al 2020, il Paese contava la presenza di 102.400 migranti (lo 0,3% della popolazione totale) e il 48,5% erano donne. La maggior parte era arrivata con l’intenzione di raggiungere l’Europa ma, a causa dell’esternalizzazione delle frontiere da parte dell’Ue attraverso una serie di accordi con Stati terzi, il viaggio si è rivelato molto più complesso del previsto e le persone migranti sono rimaste in Marocco. Le donne, in particolare, raggiungono il Paese in cerca di lavori che permettano loro di provvedere a se stesse e alle proprie famiglie.

Lo racconta un lungo reportage pubblicato sul quotidiano tedesco Deutsche Welle e finanziato dal Pulitzer Center on Crisis Reporting, organizzazione statunitense fondata nel 2006 che sponsorizza reportage indipendenti su questioni globali. La storia di Oumou Sall, una donna senegalese di 27 anni che vive nella periferia nord di Marrakech e lavora in un call center, è simile a quella di molte altre che, come lei, sono arrivate dall’Africa sub-sahariana in cerca di un’occupazione meglio retribuita. Per questo lavoro guadagna circa 320 euro al mese, che insieme ad altri bonus basati sui suoi risultati le permettono di inviare anche dei soldi alla sua famiglia rimasta in Senegal.

L’industria dei call center è in rapida crescita in Marocco: già nel 2012 il portale Morocco World News annunciava che un gran numero di aziende internazionali aveva scelto il Paese come sede di nuovi call center per molte buone ragioni: “gli agenti marocchini gestiscono efficacemente i grandi volumi di chiamate, i problemi con le carte di credito e conducono indagini sulla soddisfazione dei clienti in diverse lingue. Inoltre, ci sono ulteriori vantaggi dovuti alla forza lavoro a basso costo e alla vicinanza dei fusi orari”.

Ma alcune donne, come Khady Wade Balde, sono riuscite ad avviare delle attività: lei, imprenditrice senegalese di 38 anni, ha inaugurato il salone di bellezza Khadi Hair a 250 km a sud di Marrakech. Lo ha fatto dopo un apprendistato e anni di sacrifici: era arrivata in Marocco nel 2008, a soli 23 anni, con lo scopo di migliorare le sue abilità da parrucchiera.

Non tutte hanno avuto il suo stesso successo o sono riuscite a trovare un lavoro dignitoso come Oumou Sall: il numero di migranti in arrivo dall’Africa sub-sahariana è passato da 54.400 nel 2005 a 98.600 nel 2019, per superare i 100.000 l’anno successivo. Tuttavia, molti sono privi di documenti, cosa che ostacola il loro piano di vivere e lavorare in Marocco. Le donne, in particolare, diventano bersaglio di “varie forme di sfruttamento ed emarginazione, soprattutto nel settore agricolo e dei servizi domestici”, racconta il reportage.

Nel 2014 e nel 2017 il Marocco ha rivisto le proprie politiche di integrazione, regolarizzando migliaia di migranti e consentendo a 50.000 persone, molte delle quali provenienti dall’Africa sub-sahariana, di ottenere permessi di soggiorno. Aida Kheireddine, ricercatrice marocchina ed esperta di genere e migrazione, ha spiegato a DW che per la prima volta in tutta la sua storia il Marocco ha avviato «una massiccia regolarizzazione dei migranti» con una «particolare attenzione alle donne», che avevano la priorità rispetto ad altri.

Nonostante questi sforzi, però, il processo di ottenimento dei permessi di soggiorno è ancora complesso. Secondo ricercatori e attivisti, inoltre, si registra anche una disparità di genere nelle normative e nella legislazione sull’immigrazione: le donne con un lavoro instabile sono particolarmente a rischio «di diversi tipi di violenza. Innanzitutto, la violenza sessuale. La violenza vissuta dai migranti privi di documenti è un evento quotidiano», ha aggiunto Kheireddine.

Sulla carta il ministero della Sanità marocchino sta cercando di intervenire: come ha riportato l’organizzazione spagnola no-profit ISGlobal, ha attuato delle politiche per migliorare la salute delle donne migranti, come il Piano Strategico Nazionale per la Salute e l’Immigrazione 2021-2025 e la nuova strategia nazionale per la salute sessuale e riproduttiva 2021-2030 redatta in collaborazione con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) per promuovere il diritto alla salute sessuale e riproduttiva in Marocco.

Pochissimi studi hanno esplorato l’esposizione delle donne migranti alla violenza sessuale e di genere. Nel 2021, secondo un’inchiesta nazionale dell’Alto Commissariato per la Pianificazione del Marocco, circa l’11,7% delle donne migranti in Marocco ha subito violenza fisica o psicologica, il 17,7% è stata vittima di rapporti sessuali forzati o molestie sessuali e il 4,3% era incinta o ha partorito durante il viaggio. E, secondo uno studio (Sexual and reproductive health and gender-based violence among female migrants in Morocco: a cross sectional survey) condotto tra luglio e dicembre 2021, su 151 donne migranti intervistate in Marocco l’87,4% ha riferito di aver subito violenza sessuale e di genere almeno una volta nella vita.

Leggi anche
Discriminazioni di genere
di Costanza Giannelli 4 min lettura
Manifestanti in un centro di espulsione vicino a Gatwick protestano contro i piani di inviare migranti in Ruanda
Immigrazione
di Costanza Giannelli 3 min lettura