Diritti

Uk: “cultura tossica” e violenza contro i migranti

La prima inchiesta pubblica voluta dall’ex ministra Priti Patel ha rilevato “prove credibili” di violazioni delle leggi sui diritti umani e trattamenti degradanti nel centro di detenzione di Brooke House
Manifestanti in un centro di espulsione vicino a Gatwick protestano contro i piani di inviare migranti in Ruanda
Manifestanti in un centro di espulsione vicino a Gatwick protestano contro i piani di inviare migranti in Ruanda Credit: PA WIRE
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
25 settembre 2023 Aggiornato alle 08:00

Una “cultura tossica”. Prove “credibili” di violazioni delle leggi sui diritti umani relative alla tortura e ai trattamenti inumani o degradanti, nonché all’uso di un linguaggio razzista e dispregiativo da parte di alcuni membri del personale nei confronti dei detenuti. È quanto svelato dalla prima inchiesta pubblica sugli abusi in un centro di detenzione ed espulsione per migranti nel Regno Unito, voluta dall’ex ministra degli Interni Priti Patel, dopo che la Bbc aveva diffuso filmati violenze e abusi contro detenuti vulnerabili girati sotto copertura tra aprile e agosto 2017 nel centro di Brook House, vicino all’aeroporto di Gatwick.

Più di 3 anni di indagini, riassunti in un enorme rapporto di 711 pagine che ha individuato “19 casi di atti o omissioni che potevano costituire maltrattamenti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani, secondo cui nessuno dovrebbe essere sottoposto a violenza, tortura o trattamenti o punizioni inumani o degradanti”. Tra questi, le pressioni sul collo di un detenuto mentre era in estrema difficoltà, l’uso ripetuto di una tecnica di contenzione pericolosa (che consiste nell’ammanettare le persone con le mani dietro la schiena mentre sono sedute) e uomini costretti con la forza a spostarsi mentre erano nudi, o quasi.

Non si tratta solo dei singoli casi di abuso e violenza, però: il rapporto, infatti, ha rilevato la presenza di una cultura “tossica” diffusa tra i dipendenti di G4S, la società che gestiva Brook House al momento della denuncia della Bbc, ma le criticità sono rimaste anche con Serco, che ha rilevato il contratto in seguito.

L’indagine ha individuato gravi carenze nell’applicazione delle norme e delle procedure di salvaguardia, ritenute disfunzionali in diversi ambiti, e l’uso eccessivo della forza, oltre all’uso di un linguaggio razzista e dispregiativo. Alcune delle tecniche che prevedono l’utilizzo della forza, ha spiegato il rapporto, sono state utilizzate per “provocare o punire le persone, con dolore inflitto in modo inappropriato e attrezzature come scudi antisommossa e passamontagna utilizzati in situazioni in cui ciò era inappropriato e intimidatorio”.

Ma anche l’assistenza sanitaria non è stata adeguata: il rapporto riporta una “mancanza di empatia e, a volte, di un approccio beffardo nei confronti degli uomini affidati alle loro cure” e segnala come non sia stato stato fatto abbastanza per prevenire l’uso delle droghe psicoattive.

Kate Eves, a capo dell’inchiesta, ha rivelato al Guardian che «è stato difficile e angosciante guardare alcuni filmati e testimoniare “il livello di desensibilizzazione rispetto al disagio palpabile delle persone”».

Il rapporto non si limita a rivelare l’orrore dietro le porte di Brook House, ma richiede cambiamenti radicali rispetto alla gestione della detenzione degli immigrati, compresa l’introduzione di un limite temporale di 28 giorni: questa sarebbe la più importante e radicale delle 33 raccomandazioni che emergono dal report, che includono un maggiore controllo del ministero dell’Interno e la garanzia che l’adozione della forza sia messa in atto solo come ultima risorsa.

Eves ha affermato che le raccomandazioni dovrebbero fungere da campanello d’allarme per il ministero: se il Governo non dovesse mettere in atto le raccomandazioni, sarebbe uno «sperpero delle risorse di 20 milioni di sterline», con il rischio che gli stessi errori fatti a Brook House vengano ripetuti. Un cambiamento è necessario, spiega, non solo per impedire che accada di nuovo, ma anche perché «fornirà anche un ambiente più umano, compassionevole e professionale per la detenzione degli immigrati».

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