Diritti

Francia: una class action contro la profilazione razziale

6 associazioni chiedono che lo Stato interrompa le pratiche di sorveglianza discriminatorie nei confronti delle persone Bipoc: gli uomini identificati come neri o magrebini vengono fermati 20 volte di più
Credit: Hamish Duncan 
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
3 ottobre 2023 Aggiornato alle 08:00

In tutta la Francia, le persone Bipoc (soprattutto i giovani neri o nordafricani) vengono regolarmente individuate, fermate e perquisite per strada; inoltre, vengono richiesti loro i documenti d’identità senza spiegazioni, spesso più volte al giorno e partire dall’età di 11 anni.

Lo denuncia una class action contro lo Stato francese (la prima di questo tipo) portata avanti da 6 organizzazioni francesi (Maison Communautaire pour un Développement Solidaire, Pazapas e Réseau Egalité, Antidiscrimination, Justice Interdisciplinaire - Reaji) e internazionali (Amnesty International, Human Rights Watch e Open Society Justice Initiative).

Le associazioni hanno chiesto al Conseil d’etat, il più alto tribunale amministrativo francese, di riconoscere le autorità francesi colpevoli “di non aver impedito l’uso diffuso della profilazione etnica” e di costringere lo Stato a porre fine a questa pratica, condannata per più di un decennio da diversi organismi indipendenti, dalle Nazioni Unite al Consiglio d’Europa passando per il difensore civico francese per i diritti.

Di razzismo nel sistema di sorveglianza e sicurezza francese si è parlato molto dopo l’uccisione da parte della polizia di Nahel, un ragazzo di 17 anni di origine Algerina. Durate le proteste che hanno infiammato la Francia dopo la sua morte, il 27 giugno, tantissime persone Bipoc, soprattutto adolescenti, hanno condiviso le discriminazioni subite, spiegando come fosse “normale” che la polizia li fermasse, anche più volte al giorno, senza motivo.

«È falso affermare che esiste un razzismo sistemico nella polizia nazionale», aveva dichiarato a una commissione parlamentare in luglio il ministro degli Interni Gérald Darmanin. Invece, ha ricordato Simone Browne in Materie oscure/Dark Matters. Sulla sorveglianza della nerezza (pubblicato nel 2015 da Duke University Press e recentemente uscito in Italia per Meltemi, 19 euro, 268 pagine), da secoli le tecnologie di sorveglianza sono state utilizzate con l’intento di colpire ed esercitare un controllo specifico sulle persone nere. Il razzismo, spiega Browne, è strutturale nelle pratiche e nelle politiche di sorveglianza e ha portato a una sproporzionata attività di polizia e controllo delle persone nere.

La Francia, però, sembra volersi ostinare nel rifiutarsi di vederlo. Nonostante sia un problema documentato da organismi nazionali e internazionali indipendenti, «c’è ancora una smentita. Le autorità francesi continuano a sostenere che non esiste alcun problema sistemico nella polizia francese, si tratta solo di un paio di individui che potrebbero comportarsi male» ha spiegato Maïté De Rue, avvocato senior della Open Society Justice Initiative.

«I tragici eventi di quest’estate hanno mostrato alla Francia e al mondo ancora una volta che qualcosa è profondamente rotto nella polizia francese», ha aggiunto, spiegando come i Governi francesi che si sono succeduti e i relativi organi di polizia si siano rifiutati di riconoscere la necessità di un cambiamento sistemico per fermare la discriminazione profondamente radicata nei controlli di identità della polizia sui cittadini Bipoc.

Eppure, nel giugno 2021 la Corte d’appello di Parigi avesse condannato lo Stato francese per “grave negligenza” per quello che ha definito il controllo discriminatorio dell’identità di 3 studenti delle scuole superiori in una stazione ferroviaria di Parigi nel 2017; e già 2016 la più alta corte francese avesse affermato che l’arresto di 3 uomini sulla base di caratteristiche fisiche legate alla loro presunta origine razziale costituiva una condotta gravemente illecita.

«È una cosa che in Francia si denuncia da più di 40 anni, ma non ci sono stati progressi; in effetti, troppo spesso sembra che stiamo andando indietro. I controlli [della polizia] possono iniziare dai 10 o 11 anni, e si concentrano sui giovani. Dopo circa 25 anni rallenta ma non si ferma. Ha un profondo impatto psicologico», ha spiegato Issa Coulibaly dell’associazione Pazapas di Belleville, a nord di Parigi.

È un fenomeno comune, quotidiano, che ogni persona percepita come nera o nordafricana ha subito. E non lo dicono solo le esperienze empiriche, ma i dati. Secondo il rapporto del 2017 del Défenseur du droit, i giovani uomini identificati come magrebini o neri rischiano 20 volte di più di essere fermati dalla polizia, spesso senza motivo.

Non si tratta di casi sporadici, ma di una condizione sistemica. Per questo, l’obiettivo della class action non è ottenere risarcimenti privati, bensì costringere lo Stato a mettere in atto misure per fermare questa pratica, come definizioni più rigorose delle ragioni dei controlli di identità da parte della polizia, un sistema per registrare i controlli e una regolamentazione per quando le autorità prende di mira i bambini.

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