Futuro

Le pulci d’acqua depurano le acque reflue

I ricercatori dell’University of Birmingham hanno scoperto che i minuscoli crostacei del genere Daphnia possono rimuovere alcuni pesticidi e metalli dagli scarti industriali che vengono sversati nell’ambiente
Credit:

Via rinnovabili.it  

Tempo di lettura 3 min lettura
2 ottobre 2023 Aggiornato alle 11:00

Per quanto sempre più sofisticati e tecnologici, gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali non sono in grado di rimuovere tutti gli inquinanti chimici presenti negli scarti che quindi contaminano fiumi, torrenti e sistemi di irrigazione.

Molte delle soluzioni di filtraggio dell’acqua sono particolarmente costose e comportano un elevato consumo di carbonio, risultando inquinanti quindi a loro volta, ma uno studio di alcuni ricercatori dell’University of Birmingham potrebbe aver trovato la strada per risolvere il problema.

Secondo Karl Dearn, professore di ingegneria meccanica dell’ateneo, e la sua collega Luisa Orsini, docente di ambiente, le pulci d’acqua potrebbero svolgere un ruolo importante nel filtrare farmaci, pesticidi e prodotti chimici industriali dalle acque reflue per renderle sicure.

Emblematica la metafora usata da Dearn, che ha parlato di un “bioequivalente di un aspirapolvere Dyson”.

I minuscoli crostacei del genere Daphnia sono in grado infatti di ingerire piccole particelle di detriti, alghe o batteri.

Per il loro studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, gli autori hanno selezionato quattro tipi di pulci d’acqua che consumano alcuni degli inquinanti che preoccupano maggiormente gli operatori sanitari: il composto farmaceutico diclofenac, il pesticida atrazina, il metallo pesante arsenico e il prodotto chimico industriale Pfos, un acido fluorurato di origine sintetica solitamente usato per impermeabilizzare i vestiti.

Le pulci d’acqua sono perfette per l’esperimento in quanto autosufficienti: si riproducono mediante clonazione e si autoregolano, crescendo o diminuendo di popolazione a seconda dei nutrienti disponibili.

Per trovare quelle più adatte a contrastare gli inquinanti in oggetto, Orsini ha riportato in vita alcuni embrioni dormienti bloccati nei sedimenti sul fondo dei fiumi.

Le loro capacità di aspirazione sono state testate prima in un acquario, poi in una vasca con 100 litri d’acqua, e ora Orsini le sta utilizzando in un vero e proprio impianto di trattamento con più di 2.000 litri.

In laboratorio le pulci d’acqua hanno assorbito il 90% del diclofenac, il 60% dell’arsenico, il 59% dell’atrazina e il 50% del Pfos.

In un ambiente esterno, con condizioni simili a quelle di un impianto di trattamento delle acque reflue, le loro prestazioni sono risultate pressoché identiche.

“Rimuovere il 50% dei Pfos è un risultato eccellente, nulla è in grado di eliminare o metabolizzare queste sostanze in questo modo”, hanno commentato gli autori dello studio, notando come “altri approcci sono estremamente costosi, poiché producono molti sottoprodotti tossici”.

Joseph R. Shaw, un tossicologo ambientale dell’University of Indiana non coinvolto nello studio, ha commentato i risultati, facendo notare come – data l’adattabilità di questi crostacei a molti habitat diversi – dovrebbe essere possibile replicare questo sistema in un’ampia varietà di condizioni ambientali.

«Questo metodo è destinato a cambiare le regole del gioco», ha affermato. Anche perché “giocando” con l’ingegneria genetica queste pulci di mare potrebbero essere portate a intercettare sostanze chimiche di interesse specifico e migliorare così l’efficienza del filtraggio.

Leggi anche
consumi
di Caterina Tarquini 4 min lettura
Il Mar Caspio.
Cambiamento climatico
di Emanuele Dubois 3 min lettura