Diritti

Mahsa Amini, un anno dopo: nel mirino le famiglie delle vittime

La repressione delle forze di sicurezza iraniane si è allargata anche ai parenti dei circa 530 manifestanti uccisi in Iran, che vengono sorvegliati e detenuti. Nell’ultimo mese ne sarebbero stati imprigionati 21
13 settembre 2023, Londra, Regno Unito. Gli iraniani britannici hanno inscenato una protesta a Westminster contro il regime iraniano in vista del primo anniversario della morte di Mahsa Amini e delle successive proteste di massa e repressioni in Iran.
13 settembre 2023, Londra, Regno Unito. Gli iraniani britannici hanno inscenato una protesta a Westminster contro il regime iraniano in vista del primo anniversario della morte di Mahsa Amini e delle successive proteste di massa e repressioni in Iran. Credit: Vuk Valcic/ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
16 settembre 2023 Aggiornato alle 11:00

È trascorso un anno dalla morte di Mahsa Amini, 22 anni, avvenuta il 16 settembre 2022 mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale iraniana, a Teheran. La sua scomparsa ha innescato mesi di manifestazioni antigovernative in tutto l’Iran, tra le peggiori mai viste dalla rivoluzione islamica del 1979.

I giovani e le donne sono stati spesso in prima linea, al grido di “Donna, vita, libertà”. Le autorità iraniane hanno arrestato decine di migliaia di manifestanti, uccidendone a centinaia, anche minorenni, messo a morte sette persone, torturato e stuprato detenuti e detenute.

La repressione si è poi allargata anche alle famiglie di chi protestava in cerca di giustizia, e in vista dell’anniversario della morte di Amini, il regime l’ha inasprita ulteriormente.

Secondo l’agenzia di stampa Human Rights Activists News Agency (HRANA), sarebbero almeno 530 i manifestanti uccisi nell’ultimo anno dalle forze di sicurezza iraniane, e come se non bastasse, i loro parenti sono finiti nel mirino dallo Stato. Solo una settimana fa lo zio di Mahsa Amini sarebbe stato arrestato nella sua casa a Saqqez da 10 agenti dell’intelligence e portato a Teheran. La notizia è stata diffusa da HRANA e da un altro membro della famiglia. Altri parenti sono stati presi in custodia e avvertiti di non indire proteste per commemorare la sua morte.

Un articolo del Washington Post racconta di altre famiglie prese di mira dalle autorità: a ottobre 2022 il padre di Ramtin Fatehi è scomparso per aver protestato a Sanandaj, la capitale della provincia nord-occidentale del Kurdistan. Mentre il figlio si trovava a Berlino a manifestare in solidarietà con la rivolta iraniana il padre era già morto. Ramin Fatehi, 47 anni, è stato ucciso sotto tortura il 21 ottobre 2022. Il ministero dell’Intelligence iraniano continua a convocare i membri della sua famiglia per convincerli a non partecipare alle proteste, soprattutto nelle ultime settimane. Fatehi, che lavora in ospedali e case di cura in Germania, vorrebbe tornare a casa dalla sua famiglia, ma teme l’arresto. Gli attivisti per i diritti umani hanno accusato le autorità di aver messo in moto una campagna volta a intimidire e instillare paura, arrestando, convocando per interrogatori, minacciando o licenziando persone legate alle proteste.

La pressione sulle famiglie dei manifestanti è una prassi comune, che emerge spesso dalle interviste rilasciate al Washington Post: ai familiari in lutto, che «attirano molta simpatia da parte dell’opinione pubblica», vengono fatte pressioni affinché restino in silenzio e lontani dalle strade. «Le pressioni arrivano sotto forma di telefonate, convocando le famiglie e chiedendo loro di tacere in occasione dell’anniversario», ha dichiarato Tara Sepehri Far, ricercatrice senior sull’Iran per Human Rights Watch.

La famiglia Heydari, per esempio, ha attirato l’attenzione delle forze di sicurezza e di intelligence quando si è tenuto il funerale di Javad, ucciso il 22 settembre 2022. Alla cerimonia, trasmessa online e divenuta virale, la sorella Fatemeh piangeva mentre si tagliava i capelli sulla bara. Poco dopo è stata arrestata per “propaganda contro il governo”. «Mio padre è stato costretto a dire che siamo sostenitori del regime e che sua figlia ha agito in modo emotivo e che abbiamo commesso un errore», ha raccontato al Post. Altri membri della famiglia sono stati portati in carcere (tra loro anche la nipotina di 2 anni, insieme al padre) o hanno perso il lavoro.

Secondo Radio Free Europe/Radio Liberty, un’organizzazione mediatica statunitense che si occupa anche di Medio Oriente, il numero totale di familiari detenuti nell’ultimo mese è salito a 21. Il 30 agosto l’organizzazione per i diritti umani Hengaw ha riferito che “le istituzioni governative iraniane hanno arrestato almeno 70 membri delle famiglie dei manifestanti in diverse città dall’inizio di marzo 2023”.

«Le autorità iraniane hanno trascorso un anno infliggendo inenarrabili crudeltà a persone che con coraggio avevano sfidato decenni di repressione e disuguaglianza», ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. «Un anno dopo la morte nelle mani della polizia di Mahsa/Zhina Amini, non c’è stata un’indagine, per non parlare di processi o condanne per i crimini commessi durante e dopo la protesta». Nel novembre 2022 il Consiglio Onu dei diritti umani ha deciso d’istituire una Commissione di accertamento dei fatti sull’Iran, “ma c’è ancora molto da fare per combattere la crisi dell’impunità e impedire ulteriori bagni di sangue”, ha spiegato Amnesty.

Il rischio di fare ancora passi indietro è elevato. Il parlamento iraniano, riporta Reuters, sta prendendo in considerazione di istituire pene detentive più lunghe per chiunque trasgredisca il codice di abbigliamento, oltre a sanzioni più severe per le celebrità e le imprese che violano le regole. La legge al vaglio, che potrebbe entrare in vigore a partire da ottobre, punirebbe chi viola l’obbligo di indossare l’hijab con il carcere fino a 10 anni. Si tratta di una pena paragonabile a quella prevista per reati gravi come l’omicidio e il traffico di droga.

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