Diritti

Hijab Iran: torna il controllo della polizia morale in strada

Le autorità hanno annunciato il ripristino della Gasht-e Ershad, le pattuglie che vigilano sull’abbigliamento delle donne. Con le proteste nate dopo la morte di Mahsa Amini, la presenza degli agenti era diminuita
Credit: EPA/ABEDIN TAHERKENAREH
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18 luglio 2023 Aggiornato alle 17:00

La Gasht-e Ershad, la polizia morale iraniana, torna a esercitare le sue funzioni di controllo. L’annuncio è arrivato domenica da parte del generale Saeed Montazerolmahdi, portavoce della polizia che ha affermato che le pattuglie ricominceranno a arrestare le donne che non portano l’hijab come prescritto dalla legge islamica.

A 10 mesi dall’arresto e dalla morte in custodia proprio della polizia morale della 22enne curda Mahsa Jina Amini, il corpo di sorveglianza introdotto in seguito alla Rivoluzione islamica del 1979 torna a pattugliare le strade del Paese. Il suo compito è vigilare, oltre che sul corretto modo di portare il velo, sull’abbigliamento femminile, che deve essere abbastanza largo da non lasciare intuire la forma del corpo, e su alcuni comportamenti considerati indecorosi. Non è noto quante persone lavorino per questo ramo della polizia, che ha accesso ad armi e ha il controllo di centri di detenzione e di “rieducazione”.

A causa delle proteste innescate dalla morte di Amini, il ruolo della polizia morale si era notevolmente ridimensionato. Mohammad Rostami Cheshmeh Gachi e Haj Ahmad Mirzaei, rispettivamente capo della Gasht-e Ershad e responsabile della divisione di Teheran, sono stati colpiti da sanzioni da parte di alcuni Paesi occidentali.

La presenza degli agenti per le strade si era ridotta tanto che, lo scorso dicembre, diversi media avevano riportato che fosse stata smantellata. La notizia, alimentata da alcune dichiarazioni del procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri, è stata in seguito smentita, per mancanza di conferme o di comunicazioni ufficiali.

Di fatto le “pattuglie della guida” avevano visibilmente allentato il rigido controllo sull’abbigliamento e sui codici di comportamento femminile. A Teheran, così come in altre città, da mesi molte donne si mostrano in pubblico a capo scoperto senza subire conseguenze. Una ribellione senza precedenti nella storia della Nazione.

L’elemento simbolico del velo, visto come emblema della sopraffazione maschilista della Repubblica islamica sulle donne, ha contribuito alla formazione di una solidarietà internazionale senza precedenti verso le proteste iraniane, spesso a discapito di alcuni fraintendimenti. Come la credenza che la battaglia delle donne sia contro l’hijab anziché contro la sua imposizione o la tendenza a trascurare le complesse ragioni sociali ed economiche che hanno portato allo scoppio delle rivolte.

Un anno fa il presidente Ebrahim Raisi ha deciso di rafforzare la “legge sull’hijab e sulla castità”, aumentando le restrizioni (ad esempio punendo chi pubblica foto senza il velo sui social) e allargando la capacità di azione della polizia morale. Questo ennesimo colpo di forza ha probabilmente contribuito a preparare il terreno per le proteste scoppiate a metà settembre.

La minore presenza delle pattuglie della polizia morale per le strade non ha portato il Governo ad ammorbidire le proprie posizioni circa il codice di abbigliamento imposto alle donne. Nel corso di questi mesi le autorità hanno messo in atto diverse strategie per convincere le cittadine a rispettare l’obbligo dell’hijab: dal divieto di servirle nei caffè e nei ristoranti al blocco dei conti correnti, dal sequestro della macchina al riconoscimento facciale tramite telecamere di sorveglianza, le minacce contro le donne che si presentano in pubblico a capo scoperto non sono mai cessate.

Dopo un periodo di relativo stallo in cui le proteste sembravano essere calate, resta da vedere se la decisione delle autorità iraniane porterà a una nuova fiammata di rivolte o, al contrario, sarà il prologo di una ancor più serrata repressione. Finora sono più di 500 le persone uccise dal regime per soffocare le proteste, comprese 7 condanne a morte. Mentre si stima che siano stati effettuati decine di migliaia di arresti, per stessa ammissione delle autorità.

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