Iran: prima condanna a morte per chi protesta

Nessuno sa dove si sia svolto il processo o se l’imputatǝ abbia avuto modo di difendersi. Quel che è certo è che un tribunale iraniano ha emesso la prima condanna a morte in relazione alle proteste che si stanno svolgendo nel Paese dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini, avvenuta il 16 settembre 2022.
Lo ha riferito la magistratura iraniana in una news pubblicata su Mizan, l’agenzia di stampa giudiziaria iraniana: una persona la cui identità non è stata resa nota è stata condannata alla pena capitale dalla Corte rivoluzionaria per “aver dato fuoco a un edificio governativo, per disturbo dell’ordine pubblico e della pace, associazione e cospirazione per aver commesso un crimine contro la sicurezza nazionale, inimicizia a Dio e diffusione della corruzione sulla Terra”.
Altre 5 persone che hanno preso parte alle proteste dovranno scontare da 5 a 10 anni di carcere per essersi riunite e aver cospirato per compiere crimini contro la sicurezza nazionale e aver disturbato l’ordine pubblico. L’agenzia di stampa statale Irna ha sottolineato che queste decisioni sono preliminari e potranno essere impugnate. “Inoltre, poiché i verdetti non sono stati finalizzati, secondo la legge, i dettagli del caso non possono essere pubblicati e saranno annunciati solo dopo una sentenza della Corte d’Appello”, riporta Mizan. Nessuno dei manifestanti incriminati è stato reso noto e non sono stati forniti dettagli su quando o dove avrebbero commesso i reati in questione.
Dallo scoppio delle proteste in Iran, le autorità hanno scatenato una brutale repressione dei manifestanti e la magistratura ha accusato almeno 1.000 persone nella sola provincia di Teheran per il loro presunto coinvolgimento nelle proteste. Secondo la ong Iran Human Rights, che dalla Norvegia monitora la condizione dei diritti umani nella Repubblica islamica con membri attivi sia all’interno che all’esterno del Paese, fino al 12 novembre sarebbero state uccise almeno 326 persone, tra cui 43 bambini e 25 donne. Ma i numeri variano a seconda dei gruppi di opposizione, delle organizzazioni internazionali e dei giornalisti che seguono le proteste in corso. I gruppi per i diritti umani temono che le autorità iraniane abbiano pianificato di eseguire in modo affrettato numerose condanne a morte, considerando che “almeno 20 manifestanti”, con le accuse che hanno collezionato, rischiano la pena capitale.
«La comunità internazionale deve avvertire con forza la Repubblica islamica delle conseguenze di queste esecuzioni», ha dichiarato il direttore di Iran Human Rights Mahmood Amiry-Moghaddam, che chiede un’azione urgente «prima che sia troppo tardi: la convocazione dei loro ambasciatori e l’attuazione di un’azione più efficace in materia di diritti umani contro i funzionari statali sono tra le conseguenze che i paesi europei devono considerare».
La scorsa settimana 16 esperti indipendenti di diritti umani nominati dalle Nazioni Unite hanno esortato le autorità iraniane “a smettere di incriminare persone con accuse punibili con la morte per la partecipazione, o la presunta partecipazione, a manifestazioni pacifiche” e rilasciare tutti i manifestanti “arbitrariamente privati della loro libertà per il solo motivo di esercitare i loro legittimi diritti alla libertà di opinione ed espressione, associazione e riunione pacifica e per le loro azioni volte a promuovere e proteggere i diritti umani e fondamentali libertà attraverso mezzi pacifici”.
Lunedì l’Unione europea ha imposto ulteriori sanzioni all’Iran, aggiungendo 29 persone e 3 organizzazioni all’elenco delle persone oggetto di misure restrittive “in considerazione del loro ruolo nella morte di Mahsa Amini e nella risposta violenta alle recenti manifestazioni nel Paese”.
Tra coloro che saranno puniti con divieti di viaggio e congelamento dei beni, ci sono 4 membri della pattuglia che arrestò la ragazza “brutalmente picchiata e maltrattata durante la custodia”, secondo dei testimoni citati dall’Ue, e poi morta sotto la custodia della polizia morale. Ma nell’elenco compaiono anche membri di alto livello del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, il ministro degli Interni iraniano Ahmad Vahidi, a capo delle forze di sicurezza del Paese responsabili della morte di almeno 70 persone, e l’emittente statale Press Tv: secondo l’Ue sarebbe “responsabile della produzione e della trasmissione delle confessioni forzate di detenuti, inclusi giornalisti, attivisti politici e persone appartenenti alle minoranze curde e arabe”.