Iran: i funerali diventano digitali per sfuggire alla polizia
Le vittime delregimeiranianonon trovano pace nemmeno da morte. Le famiglie di coloro che sono stati uccisi mentre partecipavano alle proteste antigovernative vengono infatti ostacolate nel preparare commiati in ricordo dei propri cari. Sempre più famiglie hanno scelto ditrasferire i loro memoriali in rete,un fenomeno che progressivamente sta diventando virale e che sempre più famiglie adottano. Una scelta quasi obbligata, questa, considerato che spesso leforze di sicurezza irrompono con violenza nei raduni funerari, assalendo i partecipanti e negando a famigliari e amici di dare un ultimo saluto a chi ingiustamente è stato ucciso. Proprio questo è accaduto a novembre durante il 40° giorno di commemorazione del giovane 26enne Mohammad Hassan Torkaman, ucciso il 21 settembre a Babol durante una manifestazione. Come denuncia ilvideocondiviso daJustice for Iran,mentre era in corso la cerimoniafuneraria un gruppo diufficiali della sicurezza hanno iniziato a spararea persone che si trovavano nelle pressi del cimitero. Il fratello di Mohammad Hassan in una recenteintervistarilasciata aSkyNewsha dichiarato che in quella giornata: «Miliziani in borghese hanno usato granate assordanti, gas lacrimogeni, proiettili di gomma, pistole paintball e manganelli, e chemolti partecipanti sono stati arrestati e feriti». L’intervento oppressivo da parte degli agenti di sicurezza avvenuto al cerimoniale di Mohammad Hassan non è stato un caso isolato. L’Iran Internationalconfermal’impossibilità per le famiglie dei manifestanti uccisi di svolgere commemorazioni. Durante i funerali di Hadis Najafi eMehrshad Shahidi, rispettivamente a Karaj e ad Arak, le forze di sicurezza hanno sparato gas lacrimogeni contro le famiglie in lutto e altre persone che volevano raggiungere il cimitero, bloccando le strade. Recentemente, sempreIran International, ha diffuso lanotiziache alcune persone sono state arrestate per aver provato ad aggiungere una lapide alla tomba di Mohammad Hosseini, una delle vittime più sole del regime e apparentemente senza famiglia; invece nelle scorse settimane è stata rotta la lapide installata sulla tomba diMohsen Shekhari, il primo manifestante giustiziato dal regime. Le aggressioni perpetuate contro chi si riunisce per commemorare i defunti è l’ennesima dimostrazione di potere da parte del regime che tramite queste violenti irruzioni tenta diimpaurire lefamigliedelle vittime.Nonostante siano trascorsi mesi dalla morte di Mohammad Hassan, la sua famiglia, continua a essere molestata e pedinata dalle autorità islamiche, nell’intervista aSkyNewsil fratello ha detto: «Siamo monitorati e controllati, alcuni giorni ci seguono, mentre certe notti stazionano vicino a casa nostra». Per questo motivo le famiglie dei manifestanti deceduti stanno ricorrendo allacreazione di pagine commemorative dei loro cari sui social media.Un fenomeno che la ricercatrice per i diritti umani presso laSoas Universitydi Londra,Azadeh Pourzand,ha definito«l’archiviazione e la commemorazione dal basso»,in quanto sono parenti o amici a creare e gestire i profili memoriali. Grazie alla viralità e all’immediatezza dei social network ilmemoriale onlineha inoltre assunto una funzione didenuncia pubblica:ovvero per far sì che nessuno si dimentichi la strage di vite innocenti che il regime ha provocato, e continua a provocare. A confermarlo sono i numeri: secondo i dati raccolti dalla piattaformaTalkWalker, l’hashtag del nome di Mohammad Hassan è stato twittato ben più di 143.000 volte. Oltre ai memoriali presenti nei social, di importanza rilevante è il progettoOmidMemorial(speranzain persiano), unarchivio digitaleperricordare tutti coloroche sono stati uccisi dallo Stato, realizzato nel 2002 dall’Abdorrahman Boroumand Center.L’obiettivo è aiutare le famiglie dei defunti nel loro processo di lutto e affiancarle nella ricerca di una giustizia che, per tutte queste vittime (al momento 26.242) tarda a compiersi.