Economia

Ue: qual è il costo da pagare per salvare l’ambiente

Le quote di CO2 raggiungono il massimo storico e preoccupano le industrie per i costi elevati. La tassa ecologica è considerata come un freno alla transizione verde che aumenta il divario competitivo con altri Paesi
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12 settembre 2023 Aggiornato alle 09:00

“Chi inquina paga’’. Era il 2005 quando l’Unione europea si servì di questo principio per contrastare i cambiamenti climatici tramite una progressiva decarbonizzazione che prevede il raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni entro il 2050.

Con l’introduzione del pacchetto Fit for 55 è stato creato l’Ets (Emission Trading System), sistema in cui le industrie, tramite delle aste, comprano delle quote per ogni tonnellata di CO2 che possono rilasciare nell’ambiente durante il loro processo produttivo. Questa misura ha lo scopo di regolarizzare e monitorare l’inquinamento di gas a effetto serra, oltre che disincentivare l’utilizzo di combustibili fossili tramite delle tasse da pagare.

«Siamo preoccupati per la corsa dei prezzi delle quote della CO2. Crediamo nella decarbonizzazione, ma per noi è diventata un doppio onere», asserisce Nicola Zampella, direttore generale di Federbeton. Queste non sono le uniche critiche al sistema; molti imprenditori lamentano come l’elevato prezzo delle quote di anidride carbonica incida negativamente sulla propria attività e ne limiti la sostenibilità del business.

Come funziona però il sistema delle quote?

Le aziende di settori ad alto carico di energia hanno a disposizione un tetto massimo di emissioni di CO2 consentite; una volta sforato il limite, bisogna controbilanciare ogni tonnellata di inquinamento prodotto acquistando le quote sul mercato.

Se nel 2013 le Eua (Emission Unit Allowances) segnavano il minimo storico con 4,45 euro di media annua, a oggi sono arrivate a costare 86,29 euro, valore di quasi tre volte superiore a quello del 2020 (24,75 euro) e che ha avuto una rapida crescita a partire dal 2021, quando servivano 53,55 euro per acquistare una quota.

Le preoccupazioni delle aziende derivano dalle difficoltà a combinare la produzione, l’innovazione e il ritorno economico.

Sempre Nicola Zampella, direttore della filiera del cemento, sottolinea come per i costi legati a questa spesa «si arriva a oltre metà del prodotto»; anche Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica, ha espresso il suo dissenso a riguardo, definendo il sistema Ets come «una tassa ideologica, poco tecnica, che non è utile alla transizione energetica», oltre che a rappresentare un freno alla crescita e agli investimenti delle aziende.

Le perdite economiche rischiano di provocare una forte delocalizzazione al di fuori dell’Unione europea dove la tassa ecologica non è presente e il costo del gas è minore.

«Pagare le emissioni di CO2, senza che queste risorse vengano indirizzate allo sviluppo di soluzioni alternative purtroppo non aiuta la transizione, aumentando il già significativo divario competitivo con altri Paesi europei e globali», sottolinea il presidente della Federazione Carta Grafica, Michele Bianchi.

In conclusione, sarebbe necessario reinvestire le spese per le quote in energie rinnovabili e processi di produzione ecofriendly, in modo da conciliare il rapido raggiungimento di una stabilità sul piano ecologico a una crescita economica delle industrie europee.

Nonostante i reclami, il sistema Ets rappresenta il più grande mercato mondiale delle emissioni, regolamentandone circa il 40% in Europa.

Ad aprile di questo anno, il Parlamento europeo ha aggiornato il sistema richiedendo una riduzione delle emissioni entro il 2030 pari al 62% dei livelli del 2005; tra le riforme spiccano l’aumento dei finanziamenti per la modernizzazione e innovazione delle tecnologie e una maggiore attenzione al Fondo sociale per il clima che si occupa del sostegno a famiglie e imprese colpite dalla povertà energetica.

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