Ambiente

Svezia: inizia il processo contro i petrolieri che operarono in Sudan

I vertici della compagnia Lundin Oil sono sotto processo per crimini di guerra, accusati di aver chiesto al governo del Sudan l’uso di forza militare per liberare e mettere in sicurezza uno dei siti esplorativi
Ian Lundin, presidente di Lundin Oil
Ian Lundin, presidente di Lundin Oil Credit: Roger Turesson via ZUMA Press
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8 settembre 2023 Aggiornato alle 07:00

In Svezia è iniziato in questi giorni un processo storico a due ex dirigenti petroliferi accusati di aver chiesto protezione armata al regime che in Sudan liberò dai civili, usando armi e violenza, un sito di estrazione petrolifera.

Si tratta di un processo per certi aspetti senza precedenti dato che vede imputati per crimini di guerra in questo caso due dirigenti di azienda, ovvero Ian Lundin, svedese, e Alex Schneiter, cittadino svizzero, che rispettivamente ai tempi (fra il 1999 e il 2003) erano il presidente della società Lundin Oil e l’Amministratore delegato.

L’accusa è quella di aver chiesto al governo del Sudan, per scopi economici, l’uso di forza militare per liberare e mettere in sicurezza uno dei siti esplorativi della Lundin Oil, una azione che si trasformò in violenze con tanto di uccisione di civili, bombardamenti e incendi di interi villaggi.

I due si difendono dalle accuse sostenendo che erano anni, decenni, che aspettavano la possibilità di affrontare la questione in tribunale, negando ovviamente tutti i capi d’imputazione.

I fatti risalgono a dopo il 1997 quando la Lundin Oil siglò un accordo con il dittatore sudanese Omar Bashir nell’area nota come Blocco 5A per l’esplorazione petrolifera: quando fu trovato il greggio secondo l’accusa la Lundin tra “commissioni” e promesse di profitti al dittatore ottenne protezione delle forze armate e delle milizie che, per permettere l’estrazione, uccisero civili con metodi brutali tanto che come sostiene l’Ong olandese Pax ci furono “bombardamenti aerei e persone uccise con le mitragliatrici dagli elicotteri” ma anche, “rapimenti di civili, saccheggi, interi villaggi e campi coltivati bruciati”.

Tutte accuse che i vertici dell’allora Lundin, ora nota come come Orrön Energy, respingono in quello che si annuncia un processo storico e lunghissimo dato che potrebbe finire nel 2026 tra innumerevoli testimoni e centinaia di udienze.

Tra le quasi 80 persone chiamate al banco ci saranno ex dipendenti della società, inviati dell’Onu, l’ex Primo Ministro Carl Bildt e diverse autorità sudanesi.

Oltre alla possibilità di ergastolo in caso venga provata l’associazione a crimini di guerra, l’accusa chiede anche che vengano confiscati circa 200 milioni di euro che la compagnia ottenne nel 2003 dopo aver venduto quote dei suoi affari in Sudan.

“Non vediamo l’ora di difenderci in tribunale e crediamo anche che riceveremo un processo equo”, hanno detto, sereni davanti ai giornalisti, i due accusati.

Centrale, nella vicenda, il ruolo della Svezia, Paese che ha avviato l’indagine nel 2010 a seguito di un rapporto sulla presenza dell’azienda in Sudan dopo una denuncia da parte dell’organizzazione non governativa olandese Pax.

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