Diritti

Sud Sudan: operatori dell’Onu accusati di abusi

Secondo un’indagine di Al Jazeera e The New Humanitarian, a 7 anni dalle prime denunce le violenze sessuali nel campo gestito dalle Nazioni Unite sono aumentate
Credit: Yusuf Yassir/ Unsplash
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
27 settembre 2022 Aggiornato alle 11:00

I primi episodi risalgono al 2015, due anni dopo lo scoppio della guerra civile in Sud Sudan e l’allestimento del campo gestito dalle Nazioni Unite a Malakal, in Sud Sudan, nell’Africa centro orientale. All’epoca erano emerse le prime rivelazioni sugli abusi sessuali commessi dagli operatori umanitari all’interno della struttura sulle donne del posto, ovvero da quelle stesse persone che avrebbero dovuto aiutarle e proteggerle.

Nonostante la nascita di una task force guidata dall’Onu, nel 2015, e sebbene la maggior parte delle organizzazioni umanitarie vieti rapporti sessuali tra gli operatori umanitari e i beneficiari degli aiuti, le violenze non hanno fatto che aumentare.

Lo denunciano l’emittente televisiva Al Jazeera e l’agenzia di stampa indipendente The New Humanitarian, che in un’indagine pubblicata a settembre hanno esaminato svariati documenti dell’Onu e di numerose Ong e raccolto le testimonianze di sfollati e addetti del campo istituito dall’organizzazione internazionale universale come rifugio temporaneo per le migliaia di persone in cerca di un riparo sicuro ma temporaneo dalla guerra.

In un rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione inviato alle agenzie umanitarie nel 2020 e ottenuto dalle due testate da un operatore che ha chiesto l’anonimato, i residenti sostengono che lo sfruttamento sessuale avvenga “su base quotidiana”, in particolare da parte di operatori che avrebbero affittato abitazioni in cui consumare le violenze e e pagato tangenti per poter abusare delle donne. Sarebbero episodi incontrollati, iniziati a partire dal 2015 e mai più cessati, secondo le due testate.

L’Onu definisce lo sfruttamento sessuale come qualsiasi abuso, effettivo o tentato, della propria posizione di potere, utilizzando la vulnerabilità o la fiducia, a fini sessuali. Lo vieta perché si basa su relazioni disuguali, notare che qualsiasi tipo di transazione per il sesso - come fornire regali o offrire supporto - riflette questo equilibrio di potere ineguale.

L’indagine riporta la testimonianza di due donne, tra le altre: una rimasta incinta nel 2019 dopo un rapporto con un lavoratore locale del Programma Alimentare mondiale delle Nazioni Unite, cosa che viola le norme della maggior parte delle organizzazioni umanitarie a causa dei forti squilibri di potere tra operatori umanitari e beneficiari degli aiuti.

Nonostante si sia trattato di un rapporto consensuale, qui come in altri casi, le donne hanno spiegato che non avevano altri mezzi per mantenere se stesse o le loro famiglie senza i soldi o i regali forniti da questi operatori, e temevano che se avessero smesso di fare sesso con loro, quel sostegno sarebbe cessato.

Un’altra vittima ha raccontato che aveva 15 anni quando un operatore dell’organizzazione umanitaria indipendente di ispirazione cristiana World Vision l’ha violentata e messa incinta. Temendo per il suo futuro, ha detto di aver cercato di impiccarsi prima di decidere di lasciare il campo nel tentativo di costruirsi una vita migliore, con il rischio di essere violentata dai soldati e le milizie del Paese.

L’organizzazione ha spiegato di aver aperto un’indagine immediata sul caso della donna, mentre il Wfp ha detto di non poter commentare casi specifici. Queste accuse coincidono con quelle di altri residenti del campo nel report del 2020, che hanno anche riportato un caso del 2018 in cui tre ragazze sarebbero state violentate e messe incinte dall’insegnante di una scuola supportata dalle agenzie delle Nazioni Unite.

In una lettera inviata a marzo del 2022 (ottenuta da Al Jazeera e The New Humanitarian) a circa 17 organizzazioni umanitarie che lavorano nel campo, Sara Beysolow Nyanti, vice capo della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite del Sud Sudan da gennaio 2022, ha scritto di aver «ricevuto con il massimo dell’allarme informazioni sull’aumento degli episodi di abuso e sfruttamento sessuale nel sito Protection of Civilians di Malakal», che ospita circa 37.000 persone. Ad agosto ha scritto ai giornalisti che affrontare tali abusi è una delle sue “priorità principali”, ma non ha offerto commenti sul motivo per cui le strategie passate potrebbero non essere state all’altezza. Spesso le accuse di violenza sono state archiviate per mancanza di prove, e i violentatori hanno mantenuto il loro ruolo nonostante le denunce.

Secondo le due testate si tratta di “un problema grossolanamente sottostimato e che si presenta spesso all’ONU e al settore umanitario. […] I loro rappresentanti stanno lavorando per aumentare la consapevolezza su ciò che costituisce lo sfruttamento e su come denunciarlo. Le misure includono lo svolgimento di colloqui con la comunità e la trasmissione di messaggi alla radio”.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, dopo la pubblicazione dell’indagine, ha chiesto “un rapporto urgente sulle azioni immediate intraprese dalla squadra nazionale delle Nazioni Unite per affrontare lo sfruttamento sessuale e abusi nelle nostre operazioni in Sud Sudan e garantire la responsabilità” e si è detto “sconvolto da queste accuse di sfruttamento e abusi sessuali che provocano danni irreparabili alle vittime e alle loro famiglie”.

Secondo le Nazioni Unite in questi giorni circa 5.000 sfollati potrebbero essere diretti verso il campo di Malakal. Con il rischio che gli episodi di abusi e sfruttamento sessuale continuino a crescere.

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