Diritti

Francia, a scuola senza abaya e qamis: in 300 si oppongono

298 studentesse hanno indossato in classe gli abiti tradizionali musulmani: 67 sono state rimandate a casa. L’organizzazione Action Droits des Musulmans ha presentato ricorso contro il divieto
Gabriel Attal, ministro dell'Istruzione francese
Gabriel Attal, ministro dell'Istruzione francese Credit: Alexis Sciard/IP3 via ZUMA Press
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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6 settembre 2023 Aggiornato alle 18:00

Lunedì mattina, quando è iniziato il nuovo anno accademico in Francia, è scattato il divieto di indossare abaya e qamis, degli indumenti tradizionali portati da donne e uomini musulmani. Sono simili a tuniche, toccano terra e lasciano scoperti testa, piedi e mani. Durante il primo giorno di scuola, non tutti hanno rispettato la decisione del ministro dell’Istruzione Gabriel Attal: 298 studentesse, secondo lo stesso Attal, si sono presentate in abaya e le 67 che si sono rifiutate di toglierlo sono state rimandate a casa. «Quando entri in una classe, non dovresti essere in grado di identificare la religione degli alunni guardandoli», aveva detto il ministro il 27 agosto, in una trasmissione televisiva.

Nel comune di Stains, che sorge nella regione dell’Île-de-France, alcuni docenti e studenti del liceo Maurice-Utrillo hanno deciso di scioperare e hanno indetto una manifestazione di fronte all’istituto oggi a mezzogiorno. Denunciano un “drastico calo delle risorse pubbliche”, riporta il quotidiano francese Le Parisien, e rifiutano il divieto in vigore da lunedì: “Vogliamo dissociarci dalla politica islamofobica del Governo - ha scritto l’Assemblea Generale in un comunicato stampa - per noi tutti gli studenti devono essere accolti […] non dobbiamo vigilare sull’abbigliamento. Ci rifiutiamo di stigmatizzare gli studenti”. Quello del Maurice-Utrillo non è l’unico caso.

Il Governo sostiene che l’abaya costituisca una manifestazione di appartenenza religiosa, vietata nelle scuole da una legge del 2004. Rappresenterebbero, insomma, una violazione della laicità. Attal, 34 anni, in carica da luglio 2023 e tra i fedelissimi del presidente della Repubblica Emmanuel Macron, ha detto che alle famiglie delle ragazze respinte è stata inviata una lettera che spiega: “La laicità non è una costrizione; è una libertà”. Nel caso in cui le ragazze dovessero continuare a presentarsi in abaya, ha spiegato il ministro, ci sarebbe un “nuovo dialogo”.

Il Governo aveva ipotizzato che si sarebbero riscontrati dei problemi in almeno 500 istituti su 60.000, in un Paese che conta 12 milioni di studenti tra scuole elementari, medie e licei. Ma così non è stato. Questo non significa che la norma sia stata accettata senza polemiche. Sul Guardian il sociologo francese Kaoutar Harchi ha scritto che “l’unico dibattito che dovremmo avere non riguarda cosa fanno queste ragazze con i loro corpi e a cosa dedicano la loro mente, ma piuttosto le politiche attuate dallo Stato francese per controllare i corpi e le menti delle minoranze razziali. […] Questo è il nocciolo del dibattito: l’esclusione di una parte della popolazione francese dalla partecipazione alla vita politica. Dobbiamo riaffermare il diritto di ogni francese, musulmano o meno, di esercitare il pieno e completo diritto alla cittadinanza francese”.

Un’associazione che rappresenta i musulmani, Action Droits des Musulmans (ADM), ha chiesto alla massima Corte francese per i ricorsi contro le autorità statali, il Consiglio di Stato, di emettere un’ingiunzione contro il divieto dell’abaya e una contro il qamis. Ieri, racconta Le Monde, si è tenuta l’udienza: a presentare il ricorso sono stati gli avvocati William Bourdon e Vincent Brengarth per conto dell’ADM, costituita nel 2015 per lottare contro misure ritenute islamofobe. L’organizzazione ha chiesto la sospensione del memorandum del Ministero dell’Istruzione, per cui erano presenti 5 rappresentanti. Perché il ricorso sia accolto, spiega il quotidiano francese, occorre dimostrare 2 cose: “l’urgenza di agire per pregiudizio e una violazione grave e manifestamente illegale dei diritti fondamentali”.

Il legale Brengarth ha puntato sul fatto che “il Governo ha apportato un importante cambiamento politico bandendo completamente l’abaya dalle scuole il giorno prima dell’inizio del nuovo anno scolastico”. In precedenza il divieto era lasciato alla discrezione dei presidi di ciascuna scuola. Questa mossa rischia di escludere “decine, se non centinaia, di studenti”, secondo Brenghart.

Il Ministero dell’Istruzione sostiene che la nota del 31 agosto (che recita “pochi giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico 2023-2024, tra l’altro) accompagnata da una lettera che ne spiega il contenuto e l’approccio ai genitori, è una revisione di una legge entrata in vigore il 15 marzo 2004 “che disciplina, in applicazione del principio di laicità, l’uso di segni o indumenti indicanti l’appartenenza religiosa nelle scuole pubbliche, universitarie e superiori”. La legge vieta l’ostentazione di simboli religiosi nelle scuole, tra cui anche l’hijab, la kippah e le croci di dimensioni sproporzionate.

Secondo la difesa non c’è nessuna nuova questione da discutere, la nota è un chiarimento dell’applicazione della legge esistente in risposta a una richiesta dei capi di istituto. Il direttore degli affari giuridici Guillame Odinet ha dato la colpa al “fenomenale aumento dell’uso dell’abaya come simbolo musulmano e comunitario nelle scuole”. La decisione della Corte è attesa nei prossimi giorni.

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