Economia

Frana del Frejus: perché dobbiamo intervenire sul trasporto merci

Anche in Italia, strade e autostrade ricoprono un ruolo centrale nella circolazione di beni e persone, che in queste settimane sta manifestando tutta la sua fragilità
Credit: ANSA/Vigli del fuoco
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6 settembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Per collegare l’Italia all’Europa Centrale, vi sono sette varchi principali che rappresentano dei passaggi strategici per gli scambi commerciali internazionali: il Brennero, Tarvisio, Ventimiglia, Sempione, Frejus, Monte Bianco e San Gottardo.

Solo nel 2022 nel Traforo del Monte Bianco sono transitati 1.731.833 automezzi e nel 2021 solo con trasporto autostradale circa 10 milioni di tonnellate di merci.

Nel Passo del Brennero, invece, si sono sfiorati gli 11 milioni di automezzi nel 2022, mentre nel 2021 le tonnellate di merci sono state quasi 40 milioni su strada e circa 15 milioni su rotaia.

Tuttavia, tra incidenti, crisi climatica e normative europee la circolazione, a oggi, risulta fortemente compromessa.

In linea con il Green Deal europeo, l’Austria ha introdotto pesanti limitazioni alla circolazione di camion e veicoli pesanti sul Passo del Brennero.

Lo scorso 10 Agosto il deragliamento di un treno ha portato alla chiusura del passo di San Gottardo che solo da pochi giorni è stato riaperto, seppur in misura parziale.

Il 28 Agosto la frana del Frejus ha portato alla chiusura dell’omonimo varco creando un imbottigliamento ai piedi del Monte Bianco, dove si sono accumulati camion e autotrasportatori per chilometri e chilometri di coda.

Una chiusura temporanea, quella del Frejus, che si accavalla alla chiusura antecedentemente programmata proprio del Traforo del Monte Bianco, i cui 11,6 km avrebbero dovuto essere soggetti a interventi di manutenzione a partire dalle ore 17 del 4 settembre fino alle ore 22 del 18 dicembre. Chiusura che dovrebbe ripetersi fino al 2041 con interventi periodici di 3-4 mesi ogni anno.

Le carte in tavola a oggi, però, sono cambiate e il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture italiane Matteo Salvini e il suo corrispettivo Francese Clément Beaune rimandano alla fine della prossima settimana la decisione sulla chiusura o meno del Monte Bianco.

Numerosi coloro che chiedono a gran voce di annullare la chiusura prevista in quanto, come sottolinea l’Amministratore delegato di Filiera Italiana Luigi Scordamaglia «si rischia di tagliare il nostro export», con un costo, secondo Confindustria Piemonte, di circa 11 miliardi di euro di Pil.

In realtà questa crisi su ruota ci fornisce un importantissimo input di analisi: cosa possiamo rivedere del nostro sistema di trasporti?

Secondo lo studio del 2022 Mobilità e Logistica Sostenibili del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims), in Italia la prima modalità nel traporto di merci e persone è quello marittimo portuale. A seguire, quello stradale e quello ferroviario.

Poco sfruttata è anche la modalità aerea, che si concentra soprattutto negli snodi aeeroportuali principali come quello di Roma – Fiumicino e di Milano – Malpensa.

Il problema centrale riguarda i collegamenti con il cuore dell’Europa, dove l’attraversamento delle Alpi diventa imprescindibile. Un attraversamento che negli anni si è ampiamente sviluppato in ambito autostradale, lasciando indietro la costruzione e lo sviluppo di un sistema ferroviario capace di sostenere gli scambi commerciali internazionali.

Il vantaggio del sistema autostradale è quello di essere estremamente capillare permettendo, dunque, il raggiungimento e l’avvicinamento di una realtà produttiva frastagliata.

In effetti, nell’analizzare le modalità ottimali di trasporto è bene tener presente le esigenze delle aziende – che in base al settore possono anche differire enormemente l’una dall’altra - e, chiaramente, la loro distribuzione geografica.

Secondo l’Associazione Filiera Italiana, ogni anno passano per l’arco alpino Italiano oltre 170 milioni di tonnellate di merci, ovvero circa il 60% di quanto importa ed esporta il nostro Paese.

Il Mims calcola che il 65% del traffico stradale per merci si concentra nel Nord Italia.

Tra Italia e Francia, nel 2022 sono state scambiate oltre 46 milioni di tonnellate di merci, di cui il 92,2% via strada e solamente il 7,8% via treno.

In Austria, delle 83,8 milioni di tonnellate di merci in circolazione è il 27% ad aver varcato il confine tramite ferrovie. Una percentuale molto più alta la troviamo, invece, al confine italo-svizzero, dove il treno raggiunge il 70,5% delle quasi 48 milioni di tonnellate scambiate.

I dati, però, ci dicono che l’uso della rotaia cresce lentamente: le stime realizzate negli ultimi anni da Eurostat e Conto Nazionale delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili

calcolano che tra il 2014 e il 2021 la quota modale della ferrovia in Italia abbia guadagnato solamente un decimo di punto in più. Ciò porta comunque a una riduzione del gap con il resto dei Paesi europei, passando dal 18,8% al 16,8%. Per rafforzare l’utilizzo delle ferrovie nel trasporto merci, l’Unione europea ha elaborato la Rete transeuropea dei trasporti, anche nota come Ten-T, una misura che nasce ben oltre dieci anni fa e che è stata recentemente ripresa e aggiornata dall’Ue al fine di identificare nuove opportunità di scambio con l’Europa centrale.

Una misura verso la quale mette in guardia l’Eursipes che critica alla Ten-T un’eccessiva staticità e un’incapacità di concentrarsi anche sull’utilizzo del Mediterraneo, asset chiave per il commercio Italiano.

La sfida, oggi, è quella di identificare come trasferire una parte del peso commerciale dalle autostrade verso ferrovie, porti e aeroporti.

L’Unione europea ha fissato un obiettivo, tanto ambizioso quanto irrealistico, di shift modale che prevede entro il 2030 lo spostamento del 30% del traffico autostradale superiore ai 300 km verso una modalità di trasporto differente, percentuale che entro il 2050 dovrebbe salire al 50%.

Si parla di una transizione che risponda ai requisiti di efficacia e di efficienza, garantendo quindi sia un miglioramento della logistica che degli elevati livelli di inquinamento connessi al traffico stradale.

Un’opzione che consiste nel trasporto intermodale, ovvero nell’utilizzo di container in grado di adattarsi a più modalità di trasporto combinando, dunque, mezzi diversi e abbattendo i chilometri di distanza. Un sistema, tuttavia, ancora poco competitivo nel mercato reale e che rimane bloccato a causa delle numerose divergenze normative e infrastrutturali tra i vari Paesi.

In questo contesto, è la stessa Corte dei Conti a ribadire l’esigenza di identificare obiettivi realmente raggiungibili, oltre che ben supportati da piani ad hoc capaci di gettare delle basi comuni per i paesi membri dell’Unione europea.

Quel che è certo è l’impossibilità per il nostro Paese e per la nostra economia di rimanere bloccati a fronte di una concomitanza di eventi disastrosi. L’auspicio è quello di comprendere l’urgenza di un intervento sul sistema dei trasporti attuali verso alternative più sostenibili e diversificate.

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