Diritti

Quanti sono gli italiani detenuti all’estero?

Sarebbero 2.058, sparsi tra Germania (in testa), Francia e Spagna, secondo l’ultimo censimento del Ministero degli Esteri. Tra loro, circa 861 erano in attesa di giudizio
Il murale "Visit" realizzato da Melinda Sefcic nell'ambito del progetto "Un orizzonte di libertà" nel carcere di Glina, in Croazia
Il murale "Visit" realizzato da Melinda Sefcic nell'ambito del progetto "Un orizzonte di libertà" nel carcere di Glina, in Croazia Credit: Ivo Kosanovic
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
1 settembre 2023 Aggiornato alle 14:00

La cifra si sta abbassando di anno in anno, ma gli italiani detenuti all’estero sono ancora voci nel silenzio sparse nel mondo.

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Farnesina, nel 2021 il numero di casi registrati era pari a 2.058. Di questi, 861 connazionali erano in attesa di giudizio, 31 in attesa di estradizione e 1.166 erano stati effettivamente condannati.

Se guardiamo alla divisione per area geografica, notiamo che la maggior parte è detenuta in Unione europea, in cui ne contiamo 1.526, di cui 810 condannati, 709 in attesa di giudizio e 7 in attesa di estradizione.

La maggior parte si trovava incarcerata in Germania: qui il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ne ha registrati 713. Seguono, con un ampio distacco, Francia, Spagna e Belgio, con 230, 229 e 157 italiani incarcerati.

Dopo l’Ue troviamo i Paesi extra Ue e le Americhe, dove nel 2021 erano registrati rispettivamente 232 e 200 italiani detenuti. Seguono Asia e Oceania (54), Mediterraneo e Medio Oriente (33) e infine Africa sub-sahariana (13). La maggior parte dei detenuti extra Ue è concentrata nel Regno Unito (126) e in Svizzera (73). Albania, Bielorussia, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia e Turchia non superano gli 11 detenuti ciascuno. In Asia e Oceania la maggioranza si trova in Australia, a quota 27 detenuti italiani.

In Mediterraneo e Medio Oriente erano la Tunisia e gli Emirati Arabi Uniti ad avere il primato, con 11 e 7 connazionali prigionieri. In Africa sub-sahariana, nel 2021, non c’erano italiani in attesa di giudizio o di estradizione, ma erano tutti condannati, così come in Arabia Saudita (1), Egitto (1), Giordania (1), Libano (1), Marocco (7) e Siria (1): 5 in Costa d’Avorio, 4 in Sud Africa, 2 in Senegal, 1 in Camerun e 1 nella Repubblica Democratica del Congo.

Nelle Americhe gli italiani si trovano perlopiù in Brasile (33), Argentina (26), Repubblica Dominicana (24) e negli Stati Uniti (31). È qui, in Florida, che si trova Chico Forti, l’ex produttore televisivo e velista italiano condannato all’ergastolo senza condizionale nel 2000 per frode, circonvenzione di incapace per l’acquisto di una struttura alberghiera e di concorso in omicidio.

Attualmente è detenuto al Dade Correctional Institution di Florida City, un carcere di massima sicurezza non lontano da Miami. Forti ha sempre dichiarato di essere vittima di un errore giudiziario.

Il suo caso sembrava sul punto di incontrare una svolta nel 2020, quando l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio parlò di un imminente ritorno in Italia di Forti. Più volte è stata richiesta l’istanza di usufruire dei benefici previsti dalla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, e di essere trasferito in Italia per scontare la pena nel suo Paese, come prevede la Convenzione di Strasburgo del 1983. Ma, in questo caso, la pena inflitta - l’ergastolo senza condizionali - non è contemplata dal sistema italiano e non può essere scontata nel nostro Paese.

Secondo Katia Anedda, fondatrice e presidente della Onlus Prigionieri del Silenzio, nata nel 2008 per dare una voce ai detenuti italiani all’estero, la Convenzione di Strasburgo andrebbe riscritta perché «non è riconosciuta da tutti i Paesi e la lunghezza dei tempi di applicazione produce a volte effetti paradossali». Il sì alla richiesta di trasferimento, dice, «magari arriva a condanna finita». Il trattato conta 69 ratifiche/adesioni.

Anedda, in un’intervista all’Agi nel 2018, denunciava «il generico budget annuale» dei consolati volto ad aiutare i connazionali in difficoltà, ma erano «fondi insufficienti, falcidiati dai tagli degli ultimi anni. Anche a livello di personale». La sua Onlus chiede da tempo l’istituzione di una «figura statale» che si occupi degli italiani detenuti all’estero, o almeno l’estensione del «magistrato di collegamento», previsto negli Stati in cui l’Italia è presente con un’autorità consolare, i cui poteri sono, però, limitati.

Come si legge sul sito del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, “nel caso di arresto in un Paese straniero, il cittadino italiano ha diritto a chiedere assistenza consolare”. Questa rappresentanza ha il potere, tra le altre cose, di fornire al detenuto nominativi di legali di riferimento in loco, curare i contatti con i familiari, assicurare, quando necessario e consentito dalle norme locali, assistenza medica e generi di conforto al detenuto e favorire il trasferimento in Italia, “qualora il connazionale sia detenuto in Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento dei detenuti del 1983 o con cui siano in vigore accordi bilaterali”.

Nel 2019 è stata realizzata la Guida pratica all’assistenza consolare per “informare i detenuti e i loro familiari su tutte le forme di assistenza che le Ambasciate e i Consolati possono garantire loro”, spiegava nella prefazione l’allora Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri Manlio Di Stefano. Il testo, consultabile online, fu una richiesta della Onlus “Prigionieri del Silenzio”.

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