Diritti

La morte di un mercenario

Mancato a 62 anni, su un volo interno, Yevgeny Prigozhin è stato capo delle tristemente note milizie mercenarie della Wagner. Le cui sorti sono ora tutte da decidere. Come quelle della stessa Russia
Credit: Reuters
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1 settembre 2023 Aggiornato alle 06:30

“Se non stringiamo le viti oggi, l’aereo andrà in pezzi mentre è in volo”.

Quasi 10 giorni dopo l’incidente in cui ha perso la vita Yevgheny Prigozhin, sembra che la causa sia da far risalire a un ordigno piazzato nel condizionatore.

Non si tratterebbe, quindi, di viti né di ingranaggi. Ma la frase, pronunciata dal noto capo della Wagner qualche mese fa, suona ugualmente e clamorosamente profetica, un tipo di auto epitaffio.

Prigozhin è morto, ora lo conferma anche il test del Dna.

Svolto nei giorni scorsi sui passeggeri del jet Embraer crollato il 23 agosto nella regione di Tver, mentre era in volo da Mosca a San Pietroburgo, ha attestato l’identificazione di Prigozhin fra i morti rimasti carbonizzati.

Certo, il fatto che a condurre l’indagine, raccogliere dati sulle modalità dell’incidente, effettuare esami sui corpi e sui resti del velivolo e, soprattutto, a indagare e stabilire se sia trattato di fatalità o di omicidio, sia la commissione d’inchiesta voluta dal presidente Vladimir Putin, molto probabilmente mandante, non lascia certezze sugli esiti. Che Prigozhin fosse in quell’aereo e che sia morto, però, sembra assolutamente sicuro.

La vita tumultuosa e torbida dell’ormai ex capo della milizia mercenaria Wagner è costellata di episodi orribili fin dall’adolescenza.

Viene condannato per la prima volta a 17 anni per furto, continua la sua carriera criminale finendo in carcere per aggressioni e violenze di vario tipo e sconta una pena di dodici anni di reclusione (poi ridotta a dieci) in una colonia penale di massima sicurezza per rapina, furto, frode e coinvolgimento di minori in attività criminali.

Ma il salto di qualità, quello che dalla bassa manovalanza delinquenziale lo porta ai crimini contro l’umanità, lo compie a partire dagli anni ’90, da quando, cioè, entra in contatto con il nuovo zar delle Russie.

È con Putin che scala rapidamente le classifiche del trasformismo professionale, passando dal catering ai teatri di guerra più atroci e spaventosi del mondo, dall’infornare aringhe del Danubio con patate, il piatto preferito dal presidente russo, a ideare e realizzare quella sorta di mercenariato moderno, a servizio dell’espansione dell’influenza e del potere di uno Stato, che ha cambiato il modo di fare guerra e stabilire alleanze geo-strategiche nel mondo.

Wagner era molto più di una milizia di pretoriani pronti ad agire a difesa del loro presidente e della Russia: ha rappresentato per anni il cuneo di Mosca utilizzato per infilarsi in zone ad alta tensione del Pianeta e aggiungere bandierine russe.

Dopo gli esperimenti in Siria del 2014, anno di fondazione, dove si segnalò subito per atrocità commesse e metodi violentissimi, la Wagner si è dedicata a un tipo di neo-colonialismo di tipo militare in molti Stati dell’Africa.

Presente da anni in Libia, in Mozambico, specie nella zona di Capo Delgado dove infuria da tempo una guerra tra esercito e jihadisti per il controllo delle miniere, la Wagner ha sedi fisse in Centrafrica – dove è stata accusata di abusi di massa sulla popolazione civile – in Mali, con la cui giunta golpista gestisce la sicurezza e la fase della cosiddetta seconda liberazione dalla Francia (le truppe transalpine sono uscite dal Paese lo scorso anno e l’ambasciatore è stato cacciato, ndr), in Sudan, dove attualmente sostiene le Rapid Support Forces del generale Dagalo, una delle due parti al momento in guerra con cui ha storici rapporti e in Madagascar.

Ma si vocifera di suoi ‘boots on the ground’ anche in Burkina Faso, Ciad, Guinea, Guinea Bissau, Angola, Congo. Qualcuno sostiene, ma non si hanno conferme certe, anche se l’ipotesi resta verosimile, che abbia qualcosa a che fare con il golpe in Niger di un mese fa.

Ora che il ‘macellaio’ è morto, ci si chiede cosa sarà della Wagner. La punizione per aver osato, in piena guerra in Ucraina, ad ammutinarsi e muovere verso Mosca, suggerirebbe una eliminazione totale a exemplum. Ma oltre a essere un corpo altamente specializzato e a rappresentare una forza militare straordinaria, decisiva anche sul fronte ucraino, la Wagner porta soldi nelle case del Cremlino. Dal controllo delle miniere di tutti gli Stati africani dove ha basi (oro, diamanti, petrolio etc), così come dal potere commerciale che si è assicurato contratti, derivano grandissimi proventi.

Secondo il New York Times, il Cremlino starebbe valutando come riportare Wagner sotto un controllo più diretto. La decisione, però, è difficile e il processo lungo.

Ma torniamo a Prigozhin. Il rapporto con il nuovo zar era particolarmente solido. Lo dimostra il fatto che l’ atteggiamento di Putin nei confronti del capo della Wagner dopo il presunto golpe di giugno, sia stato più morbido rispetto a quello che ci si sarebbe aspettato, Putin ha sempre sostenuto che i traditori devono morire e aggiunto in varie occasioni che la “loro morte deve essere atroce, che devono soffrire”.

Le parole e le decisioni riservate a Prigozhin, invece, sono state improntate alla prudenza: nei giorni successivi all’ammutinamento degli uomini della Wagner, come riporta Foreign Affairs in una lunga intervista a Tatiana Stanovaya, senior fellow presso il Centro Carnegie Russia Eurasia, il presidente russo ha affermato che si trattava di una persona che aveva osato sfidare lo Stato in un momento in cui stava affrontando un’aggressione esterna. Ma ha anche voluto sottolineare che le persone perdono la testa durante la guerra.

Prigozhin circolava liberamente tra la Bielorussia e la Russia, Putin lo ha anche incontrato al Cremlino e gli ha permesso di vivere la sua vita per due mesi apparentemente come se nulla fosse accaduto.

La scelta di farlo fuori arrivata tardivamente, un atteggiamento di dura condanna mai veramente ostentato e il tentennamento di uno dei leader più decisionisti al mondo, farebbero pensare a una riluttanza di Putin probabilmente spaventato dall’idea di non poter più contare su uno dei suoi uomini più fidati, anche se da tempo il rapporto andava logorandosi.

In un certo senso è possibile che Putin si sia trovato costretto a eliminare Prigozhin vista la posizione di debolezza in cui era precipitato dopo l’episodio di fine giugno ma che non fosse pienamente convinto di farlo. O forse, il presidente russo era ricattato da Prigozhin e temeva (in tal caso temerebbe ancor di più adesso) una ritorsione post mortem da parte di qualcuno rimasto fedele al suo ex cuoco.

L’eliminazione del capo della Wagner avrà l’immediato effetto di rafforzare il controllo di Putin sull’esercito russo, che non è riuscito a fermare gli ammutinati a giugno: lo stesso giorno in cui l’aereo è precipitato, il generale Sergei Surovikin, sospettato di vicinanza a Prigozhin, è stato formalmente licenziato mentre Valery Gerasimov, capo dello Stato Maggiore, e Sergei Shoigu, ministro della Difesa, due lealisti di Putin (ma ormai chi può esserne totalmente sicuro…), al centro delle feroci critiche da parte di Prigozhin, sembrano riabilitati, e in ogni caso restano in carica.

E ora? La popolarità di Prigozhin, in cima alle classifiche di gradimento dei russi almeno fino a prima dell’ammutinamento, scatenerà malcontenti o peggio tra la popolazione? O, come sostiene sempre Tatiana Stanovaya, la sua fama dopo l’ammutinamento aveva iniziato un declino inesorabile a causa del suo azzardo e l’instabilità provocata? Come spiega Ispi, «non bisogna del tutto scartare l’ipotesi di atti di rappresaglia o terroristici in Russia da parte dei wagneriani contro ufficiali militari, politici e alcune sedi istituzionali».

Di certo, quella potente organizzazione capace di terrorizzare i mondi dove metteva piede, se non è morta su quell’aereo il 23 agosto assieme al suo capo indiscusso (ma anche a uno dei suoi potentissimi subalterni, Dmitry Utkin, anche lui a bordo del jet Embraer), farà fatica a riorganizzarsi e non sarà più la stessa.

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