Ambiente

La geometria dei sottomarini

L’esplorazione degli oceani o la ami o la temi. Ma come si costruiscono i sottomarini? E perché prestare soccorso in profondità è così complicato?
Credit: Paul Daly/The Canadian Press/AP.   
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11 novembre 2023 Aggiornato alle 15:00

Dopo la tragedia del Titan, il sottomarino imploso il 18 giugno scorso nei pressi del relitto del Titanic a 3800 metri di profondità, si è molto discusso dei suoi standard di sicurezza e della pericolosità (e necessità) di questo tipo di immersioni. Ma come si costruisce un sottomarino?

«Costruire un sottomarino non è semplice – spiega Stefano Brizzolara, docente di ingegneria navale e direttore del centro veicoli autonomi marini della Virginia Tech University – perché la pressione nel mare cresce di 1 atmosfera ogni 10 metri di profondità».

In cifre, questo significa che se a 1.000 metri di profondità la pressione è di 100 atmosfere, a 10.000 sarà di 1.000 atmosfere: «Per avere un’idea di cosa significhi basti pensare che la forza che va a incidere sul sottomarino immerso nel punto dove si trova il Titanic corrisponde a circa 3.400 tonnellate, vale a dire il peso di una nave lunga 120 metri distribuiti su una superficie di pochi metri».

Come può allora un sottomarino resistere a una pressione così elevata? È tutta questione di geometria. Come spiega Brizzolara, lo scafo per resistere a questo tipo di pressione deve essere sferico, e il materiale una lega metallica di acciaio ad alta resistenza, oppure titanio. Inoltre, è fondamentale che la sfera sia perfettamente simmetrica: anche una piccolissima disuniformità può causare una tensione localizzata che diventa pericolosa.

Dal Trieste a oggi

Uno dei primi sottomarini ad aver raggiunto il punto più profondo dell’oceano, il fondale della Fossa delle Marianne, è stato il biscafo Trieste nel 1960, con a bordo i due oceanografi Don Walsh e Jacques Piccard.

Le immersioni di questa portata, però, si contano sulla punta delle dita. «I sottomarini che hanno raggiunto quella profondità sono meno di 10 e lo hanno fatto per motivi scientifici o divulgativi, e progettarli è sempre una sfida ingegneristica notevole - spiega Patrick Lahey, presidente e cofondatore di Triton Submarines. - Dai tempi del Trieste poco è cambiato dal punto di vista della geometria, perché la sfera è sempre la forma migliore per resistere alla pressione, e il titanio il miglior materiale per farlo».

Ad essersi evoluti, però, sono i materiali: per esempio, uno che consenta una visuale al di fuori della sfera è fondamentale per l’esplorazione, e in questo senso di recente si sono scoperti i materiali acrilici, che oltre a essere resistenti rimangono trasparenti nonostante lo spessore.

Altro elemento imprescindibile per un’immersione in profondità e la risalita è che il sottomarino trovi un punto molto vicino all’equilibrio tra il proprio peso, che lo spinge verso il basso, e la naturale spinta verso l’alto che riceve un corpo in acqua. Solo lungo questa linea può affondare e riemergere.

«Tali principi fanno sì che i sottomarini utilizzino moltissime casse di zavorra: casse stage che possono essere riempite di acqua e svuotate per essere riempite con aria compressa» spiega Brizzolara.

«Nel Trieste – aggiunge Lahey – la spunta verso l’alto era assicurata dall’enorme serbatoio di benzina oltre che da sfere metalliche trattenute da barre magnetiche, che potevano essere rilasciate in acqua per alleggerire il veicolo».

Ma anche in questo caso, da allora la tecnologia ha fatto passi da gigante: «oggi usiamo la schiuma sintattica, un materiale composto che resiste ad altissima pressione ed è in grado di fornire una spunta verso l’alto».

Perché allora il Titan è imploso? Lahey lo spiega senza mezzi termini: il veicolo era sperimentale e non aveva passato i controlli severi relativi alla progettazione e ai materiali richiesti da enti come il norvegese Dnv o l’American Bureau of Shipping. Nessuno ti impedisce di costruire un veicolo sperimentale e di testarlo; il problema è che ti dovrebbe essere impedito di portare persone al suo interno se non garantisci rigidissimi standard di sicurezza».

«Il punto è che esiste una falla nel sistema: le norme esistono ma possono non essere rispettate – spiega Brizzolara – a maggior ragione se ti immergi in acque internazionali. In quel caso nessuno può invocare il mancato rispetto di leggi nazionali che operano in acque territoriali».

E in caso di SOS?

Il Capitano di Vascello Manuel Moreno Minuto, comandante della Flottaglia sommergibile della Marina Militare Italiana spiega che nel caso di incidenti che coinvolgono i sottomarini, solo un intervento tempestivo e ben coordinato può portare al salvataggio.

Per raggiungere questo obiettivo, è stato fondamentale arrivare a standard condivisi da tutte le nazioni coinvolte.

Come deve essere equipaggiato un sottomarino per far fronte a un’avaria? Quali strumenti possono essere utilizzati per richiedere aiuto? Quali dotazioni deve avere per poter essere soccorso da un altro mezzo subacqueo?

Tutti interrogativi che, dopo l’incidente del sottomarino nucleare russo K-141 Kursk del 12 agosto 2000, hanno avuto un impatto rivoluzionario nella progettazione dei sottomarini: per esempio, la parte superiore del portello è stata da allora progettata con un’area a bassa rugosità, nota come “mastra di appuntaggio”.

Questa caratteristica consente agli strumenti di soccorso di agganciarsi al sottomarino in modo efficace: la superficie liscia dell’acciaio crea un effetto ventosa che impedisce all’acqua di infiltrarsi, e consente al mezzo di soccorso di ancorarsi e accedere al portello.

Ad oggi, esistono 3 tipi di mezzi subacquei utilizzati per collegarsi a un sottomarino in difficoltà: i mini-sommergibili autonomi con bracci meccanici per le manovre subacquee; i mini-sommergibili collegati tramite cavi a una nave di soccorso; la campana di salvataggio Mc-Cann, un’innovazione sviluppata dalla Marina statunitense quasi un secolo fa, che funziona come una sorta di ascensore per gli abissi e può portare in sicurezza fino a 6 persone alla volta.

Ma come si individuano i mezzi in avaria? I sottomarini militari, per esempio, sono dotati di un sistema Seprib – Submarine Emergency Postition Indicatin Radio Beacon, che consiste in radio boe cilindriche lanciate in superficie per emettere un segnale di SOS che permette ai soccorsi di localizzarne la posizione.

La profondità, però, è un limite: attualmente le attrezzature dell’Ismerlo – International Submarine Escape and Rescue Liaison Officesono in grado di operare a una profondità massima di 1.000 metri sotto il livello del mare, e devono essere trasportati sul luogo dell’incidente da navi equipaggiate con gru, piattaforme per elicotteri e camere iperbariche per trattare i feriti con malattie da decompressione.

Il ruolo della Marina italiana

La Marina italiana, nello scenario dei soccorsi sottomarini, ha da sempre giocato un ruolo fondamentale. È infatti dotata della nave Anteo, lunga 98 metri che può ospitare 141 uomini di equipaggio e operare fino a 300 metri di profondità grazie a Srv-300, un sottomarino di soccorso capace di trasportare 12 persone oltre a pilota a copilota.

Questo sottomarino presenta una particolarità: è dotato di cavi per rifornire i sottomarini in avaria con nuova aria respirabile. «È un requisito fondamentale, perché allunga l’autonomia dei mazzi incidentati, consentendo ai soccorritori di avere più margine di tempo per intervenire» spiega Minuto.

Ma Anteo è in attività dal 1980, e a breve si concederà, per così dire, il suo meritato “pensionamento”: nel 2026 sarà infatti sostituita da Olterra, una nave lunga 120 metri in costruzione dall’aprile scorso. A bordo avrà in dotazione camere iperbariche e le più moderne attrezzature per il soccorso subacqueo, come sistemi di ventilazione di emergenza, una campana Mc-Cann e un mini-sottomarino filoguidato da 15 posti in grado di arrivare fino a 600 metri di profondità.

Olterra avrà poi un sistema di posizionamento dinamico, che le consentirà di restare immobile su un punto del mare anche quando molto agitato: «Questo permetterà ai soccorritori di posizionarsi in tempi rapidi sul luogo dell’intervento, guadagnando ore preziose. Oggi invece, la Anteo deve gettare a mare un campo boe su 4 ancore ed effettuare lunghe manovre per restare agganciata a esse attraverso il posizionamento di cavi per mantenere stabile la posizione» conclude Minuto.

Ma queste tecnologie avanzatissime sarebbero (quasi) inutili se gli equipaggi dei sottomarini non fossero adeguatamente preparati per affrontare situazioni di emergenza. Nei corpi navali militari, l’addestramento presso le scuole per sommergibilisti è estremamente rigoroso: gli operatori imparano mediante esercitazioni sul campo a gestire anche i peggiori scenari, compresi quelli che coinvolgono l’abbandono di un’unità allagata o colpita da incendi.

La capacità di risposta alle emergenze, dunque, richiede un costante e continuo allenamento alle procedure e per questo le flotte che aderiscono a Ismerlo si impegnano in sessioni di addestramento annuali. Per esempio, nell’esercitazione svoltasi nel 2022 nel Golfo di Taranto, il sottomarino Romeo Romei ha simulato un’avaria nascondendosi sul fondale e lanciando boe di segnalazione. In risposta, sono state dispiegate unità subacquee della nave Anteo e dal Submarine Parachute Advisory Group, un nucleo specializzato del Comando subacquei e incursori. I soccorritori, dunque, si sono paracadutati sul luogo e hanno garantito un intervento tempestivo e ben coordinato.

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