Diritti

Myanmar: lo stupro è una delle armi del genocidio

Prima e dopo il colpo di stato del 2021, l’esercito birmano ha “commesso i crimini più gravi ai sensi del diritto internazionale”, denuncia l’Onu, ai danni delle minoranze e, in particolare, della musulmana Rohingya
Credit: EPA/DIEGO AZUBEL
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
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16 agosto 2023 Aggiornato alle 11:05

La crisi in Myanmar dovrebbe essere deferita alla Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, compresa la diffusa violenza sessuale. A dirlo di fronte una sessione aperta del Consiglio delle Nazioni Unite è stata Naw Hser Hser, attivista birmana per i diritti umani e membro del comitato consultivo della Women’s League of Burma (Wlb), che ha preso la parola nell’ambito del dibattito annuale del consiglio dedicato alla violenza sessuale legata ai conflitti, che si è tenuto il mese scorso.

L’uso della violenza sessuale per attaccare le popolazioni civili, ha spiegato secondo quando riportato dal Guardian, è il “modus operandi” dei militari, responsabili dell’uso diffuso di stupri e violenze sessuali soprattutto contro i Rohingya, la minoranza etnica musulmana del Paese.

Le sue parole, però, non sono una novità, e proprio per questo sono ancora più gravi, e urgenti. Già nel 2019 un rapporto delle Nazioni Unite aveva confermato che l’esercito del Myanmar, noto come Tatmadaw, aveva commesso “i crimini più gravi ai sensi del diritto internazionale”. Donne legate per i capelli o per le mani ad alberi e poi stuprate, bambini piccoli che tentavano di fuggire dalle case in fiamme ma erano costretti a rientrare, uso diffuso della tortura e mine antiuomo piazzate lungo le vie di fuga dai villaggi.

Per 440 pagine la missione di accertamento dell’Onu aveva riportato un terribile resoconto di omicidi, stupri, torture e bombardamenti indiscriminati “presumibilmente commessi dall’esercito birmano contro il popolo Rohingya e altri gruppi minoritari sono stati presentati dagli investigatori delle Nazioni Unite in un nuovo ampio rapporto che dettaglia le prove della loro accusa di genocidio”, spiegava il Guardian. «Non mi sono mai trovato di fronte a crimini così orrendi e di tale portata», aveva detto Marzuki Darusman, Presidente della missione di accertamento.

Secondo una stima “prudenziale” contenuta nel rapporto, risalente ormai a 4 anni fa, almeno 10.000 persone Rohingya erano state uccise in soli 2 mesi. Secondo il Global Appeal 2023 dell’Unhcr - Agenzia Onu per i rifugiati la violenza contro i civili e l’intensificarsi del conflitto armato a seguito del colpo di stato ha causato la fuga di decine di migliaia di rifugiati nei Paesi vicini e ha provocato lo sfollamento di oltre 982.000 persone all’interno Birmania. Il rapporto stima che vi siano 1,35 milioni di sfollati interni nel Paese, principalmente donne e bambini.

Non solo: secondo il rapporto, che citava testimoni oculari che affermano di aver visto donne e ragazze nude correre attraverso foreste “in visibile pericolo” e villaggi disseminati di cadaveri con “grandi quantità di sangue… visibile tra le gambe”, la violenza sessuale è stata una “caratteristica particolarmente eclatante e ricorrente” della condotta del Tatmadaw.

Lo stupro, spiegavano gli esperti dell’Onu, è stata una componente “centrale” della campagna di genocidio e donne e ragazze musulmane Rohingya hanno subito violenze sessuali “indicibili per mano di uomini potenti, molti dei quali indossavano uniformi militari o della polizia”.

Nel 2019 John Packer scriveva sul Rohingya Today che gli stupri di massa di donne e ragazze Rohingya “non erano solo la somma di aggressioni sessuali individuali da parte di decisioni disparate e casuali di singoli soldati”. Sono stati usati dal Myanmar con il preciso intento di distruggere i Rohingya come gruppo, almeno in parte. “È stato più di una vittima o di un sottoprodotto del conflitto, o della follia di una guerra - gli ha fatto eco Djaouida Siaci del Middle East Institute - Faceva parte della politica militare del Myanmar, pianificata al più alto livello dello stato e utilizzata come strumento strategico destinato a distruggere un gruppo mirato”.

Dal colpo di stato del 2021 (quando, ha spiegato Siaci, “l’insondabile violenza scatenata per decenni dalle autorità del Myanmar contro i musulmani Rohingya […] ha preso una svolta brutale”), la Wlb ha documentato più di 100 casi di violenza sessuale legata ai conflitti e violenza di genere. “Tra i casi documentati - spiega il Guardian - vi sono incidenti in cui donne sono state stuprate in gruppo da soldati e stuprate ai posti di blocco perché non sono in grado di pagare tangenti”.

Anche secondo la dichiarazione congiunta dell’8 marzo del Ministero per le donne, i giovani e i bambini del governo di unità nazionale (Nug) e il Comitato congiunto di coordinamento per le politiche di genere del Consiglio consultivo di unità nazionale, “le truppe della giunta hanno aggredito sessualmente almeno 122 donne dall’inizio del colpo di stato 2 anni fa. Almeno 3.125 donne sono state detenute in quel periodo, 15 delle quali sono state condannate all’ergastolo dalla giunta e altre 11 rischiano la pena di morte”.

Ma questa è probabilmente solo la punta dell’iceberg, ha affermato Naw Hser Hser. La paura di denunciare da un lato e la difficoltà a raccogliere testimonianze dall’altro rendono difficile avere una stima accurata, ma certamente i numeri sono molto al ribasso.

La capacità del consiglio di sicurezza di assumere una posizione forte sul Myanmar è stata ostacolata da Russia e Cina, ha spiegato il Guardian, “che forniscono armi ai militari e hanno usato i loro poteri di veto per proteggerlo dalle pressioni”.

A dicembre, il Consiglio di Sicurezza ha approvato una risoluzione che chiedeva la fine della violenza. È stata la prima volta da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948, ma non ha avuto gli effetti sperati. «È solo sulla carta, nessuna azione - ha detto Naw Hser Hser - Senza un’azione significativa, la crisi potrebbe ora intensificarsi ulteriormente».

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