Futuro

L’Europa tra due potenze

L’escalation del confronto tra Usa e Cina non sembra avere soluzione facile. Dalla transizione ecologica alla trasformazione digitale, l’Europa ha bisogno di decidere come affrontare la fine del vecchio ordine mondiale
Credit: Google DeepMind
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10 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

Non c’è un problema più intricato. Quali sono le conseguenze del disaccoppiamento tra le economie produttive degli Stati Uniti e della Cina?

Che cosa conviene all’Europa? Quali scelte sono a disposizione degli imprenditori e dei politici italiani?

Domande semplici da porre ma enormemente difficili da affrontare. Di fronte all’apparentemente insormontabile complessità della questione, un Paese come l’Italia può decidere di lasciare ad altri il compito di decidere su come affrontare il problema.

D’altra parte, la dimensione della sfida è tale che ci vuole almeno la larghezza di spalle dell’Europa per arrivare a incidere in modo significativo sul tema. Ma anche così, non ci si può negare almeno la curiosità di analizzare l’argomento. E se poi da questa curiosità dovessero emergere idee interessanti per le posizioni europee, oltre che suggerimenti utili per gli imprenditori italiani, allora queste domande avrebbero un senso.

Ovviamente, non è un giornalista come quello che scrive queste righe a poter dare qualche risposta. Al massimo, può argomentare sulla necessità per gli italiani di poter contare su istituzioni di ricerca che se ne occupino e che spieghino ai non specialisti le ramificazioni pratiche e teoriche di questa epocale questione. Ed ecco dunque gli argomenti.

1. La crescita qualitativa e quantitativa dell’economia e della tecnologia cinese, che ha anche motivato un’espansione straordinaria della potenza militare e finanziaria cinese, hanno indotto gli Stati Uniti a decidere di cambiare radicalmente paradigma per quanto riguarda l’approccio alla divisione internazionale del lavoro. L’amministrazione populista di Donald Trump ha deciso di tagliare i ponti con la globalizzazione a trazione neoliberista e ha giustificato le sue nuove posizioni con l’idea che in questo modo si potevano riportare posti di lavoro all’interno dei confini degli Stati Uniti. L’amministrazione democratica di Joe Biden ha proseguito con l’abbattimento della globalizzazione neoliberista sulla scorta di argomenti strategici, la cui urgenza è stata accresciuta dall’appoggio cinese alla guerra della Russia contro l’Ucraina e dalla sempre più chiara intenzione cinese di intervenire sull’indipendenza di Taiwan. L’Europa aveva fatto ottimi affari in Cina prima che emergesse questo nuovo quadro geo-economico. L’Italia aveva avuto un approccio alla questione più disordinato di quello della Germania o della Francia, ovviamente. Ma non per questo i suoi imprenditori avevano mancato di cogliere importanti opportunità. Non aiuta a capire le posizioni geo-politiche dell’Italia il fatto che quattro anni fa il suo governo, unico in Occidente, si sia permesso di appoggiare - più che altro a parole - la proposta cinese della Belt and Road Initiative; e oggi - più che altro a parole - un nuovo governo sembri intenzionato ad abbandonare quell’accordo, come riporta anche la Reuters.

2. Sul piano dei risultati economici, gli Stati Uniti e la Cina del nuovo millennio sono stati capaci di successi inequivocabili. Bisogna peraltro dire che mentre gli Stati Uniti hanno proseguito il loro percorso di crescita, la Cina ha fatto passi qualitativamente incredibili. Nessuno può dubitare che gli Stati Uniti siano ancora di gran lunga più ricchi e forti economicamente. Ma non possono permettersi di fare quello che vogliono, come dimostra il confronto sull’elettronica. In quel settore, che definire strategico è un understatement, non si può davvero dire chi vincerà. Gli Stati Uniti hanno deciso di vietare alle aziende americane di vendere i microprocessori più avanzati alla Cina, generando forti proteste per la perdita di fatturato che quella decisione ha determinato. Indubbiamente, nel design dei chip, gli americani sono molto più avanti: tra gli esperti si parla di dieci anni di vantaggio. Peraltro, molta conoscenza necessaria a fare i migliori microchip, prodotta in America, poi deve essere necessariamente riportata a Taiwan per fabbricare materialmente i chip. E più la Cina si avvicina a Taiwan, meno si può essere certi di quei dieci anni di vantaggio. Nel frattempo, però, i cinesi hanno deciso a loro volta di restringere le esportazioni delle materie prime essenziali per l’elettronica, come il gallio, delle quali hanno un sostanziale controllo o per la produzione o per la loro raffinazione e commercializzazione. Inoltre, i cinesi hanno costruito economie di scala straordinarie nella produzione di batterie e turbine per la produzione di energia eolica, hanno posizioni dominanti nelle pompe di calore e in molte altre tecnologie fondamentali per la transizione energetica. Tanto che si sostiene che senza quelle tecnologie cinesi, l’Europa non riuscirebbe a realizzare i suoi obiettivi di decarbonizzazione, osserva Edward White sul Financial Times.

3. In fondo, i vantaggi cinesi sono fondati sulla capacità di produrre quello che serve per quasi qualsiasi cosa. Per decenni, gli americani e gli europei, invece, hanno lasciato ad altri la capacità di produrre molte merci, anche ad alta tecnologia. Mentre i cinesi operavano le loro scelte sulla scorta di un progetto di indipendenza produttiva, di creazione di lavoro, di modernizzazione che aveva una prospettiva di lunga durata, gli americani e - in scia - gli europei sceglievano cercando vantaggi finanziari di relativamente breve termine. Il neoliberismo si fondava su assunzioni sostanzialmente superficiali per quanto riguardava le prospettive strategiche (il mantra era: alla perfetta allocazione delle risorse “ci pensa il mercato”) e di fatto si concentrava su obiettivi di massimizzazione del profitto in un’ottica di bilanci trimestrali. Dal punto di vista sistemico, il mercato resta il migliore sistema informativo su quanto valga la pena di produrre. Ma il mercato lascia ad altre istituzioni il compito di decidere che cosa si vuole sul piano strategico. Di fatto, un sistema informativo non è un sistema di valori. Sicché, se si sceglie in base ai valori finanziari, le conseguenze sono molto probabilmente: specializzazione esasperata, polarizzazione spinta, instabilità, dispersione di competenze di medio livello e così via.

Da tenere presente, che l’economia italiana ha creduto meno di altre alla finanziarizzazione, ha mantenuto competenze di base profonde, ha coltivato atteggiamento imprenditoriale orientato al saper fare.

La sua istituzione fondamentale, la famiglia, ha tenuto un’ottica di lungo termine. Ma nulla è eterno. E le condizioni che si stanno creando nel nuovo contesto economico possono essere una sfida che si affronta con la leggerezza dell’immaginazione imprenditoriale all’italiana ma probabilmente richiedono anche un po’ di “sistema-paese”.

Per gli italiani, l’unico sistema-Paese credibile è l’Europa.

L’Occidente è apparentemente schiacciato su posizioni di minoranza, da quando la guerra della Russia in Ucraina ha costretto tutti i Paesi a prendere posizione (anche non prenderla, in effetti, era prenderla). Ma l’Europa è costruita per funzionare meglio in tempo di pace. Mentre gli Stati Uniti, si direbbe, sono troppo forti militarmente per non apprezzare la guerra.

Il labirinto strategico che si è ormai creato impone salti di paradigma importanti, nuove visioni del mondo, discussioni politiche profonde. Il neoliberismo è superato ma l’alternativa non è ancora chiaramente emersa.

È tempo che gli studi strategici metodologicamente solidi si affaccino di più nel dibattito italiano. È tempo che i politici italiani imparino a dimostrare rispetto e interesse per chi studia e abbandonino lo stile “social network” nelle loro discussioni.

È necessario che il governo italiano sia pienamente orientato a dare un contributo all’Europa per migliorare la chiarezza strategica del Paese, in un bivio storico che può generare conseguenze di proporzioni gigantesche.

È probabile sul fronte delle divergenze politiche tra Stati Uniti e Cina, l’Europa sia costretta a partecipare parteggiando per il suo partner occidentale. Ma è anche probabile che l’Europa possa essere un leader nella ricostruzione di un terreno comune sul piano delle scelte per affrontare l’emergenza climatica, la polarizzazione sociale, la regolamentazione delle tecnologie più dirompenti.

Di fronte alle domande che sottendono queste argomentazioni, dalle quali dipende il futuro di generazioni di europei e di italiani, il dibattito si svolge in sordina. Ma in vista delle prossime elezioni europee, gli argomenti non dovrebbero essere i soliti banali confronti di pregiudizi e non dovrebbero neppure essere concentrati sui microinteressi dei vari potentati locali.

Per una volta, le elezioni europee meriterebbero un dibattito sulla prospettiva storica degli europei. Perché adesso questa è in gioco, che la si discuta o no.

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