Futuro

Il pianeta dei semiconduttori

La politica americana blocca le esportazioni di microprocessori verso la Cina. Che potrebbe rispondere bloccando le esportazioni di terre rare. Con conseguenze ramificate e profonde
Credit: John Cameron/ Unsplash
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20 ottobre 2022 Aggiornato alle 06:30

La velocità di sviluppo dell’industria degli armamenti cinesi, capace di realizzare vettori invisibili ai radar e capaci di andare a velocità ipersonica, dipende dalla possibilità di accedere ai più avanzati microprocessori americani.

Ne sono convinti al governo di Washington, riporta il New York Times. E questo è il punto di partenza della nuova politica americana che interviene sulle filiere produttive dei chip per impedire alla Cina di approvvigionarsi delle tecnologie digitali più avanzate che non è in grado di produrre in casa e che sono fondamentali per l’intelligenza artificiale necessaria a sviluppare le nuove armi.

La nuova guerra fredda è digitale.

Nei giorni scorsi i divieti americani di commerciare microprocessori con la Cina si sono intensificati. E incidono in modo sempre più capillare sugli scambi di semiconduttori.

La Apple ha dovuto rivedere la sua strategia di acquistare in Cina i chip di memoria per gli iPhone che vende nello stesso Paese. E le incertezze per le catene di subfornitura che hanno negli anni scorsi dimostrato quanto possono rallentare l’economia mondiale sono destinate a permanere.

La Cina consuma i tre quarti dei semiconduttori venduti nel mondo e ne produce circa il 15%, riporta il Guardian.

Secondo Boston Consulting Group, la Cina dovrebbe investire circa mille miliardi di dollari per costruire una industria di semiconduttori sufficientemente avanzata da rendere il Paese autonomo dalle forniture americane o straniere.

Sempre dando per scontato che sia in grado di farlo dal punto di vista del know how. Ma attualmente si stima che le capacità tecniche cinesi in materia siano almeno cinque anni più indietro di quelle americane.

La strategia americana apre la strada a una risposta cinese, si suppone sulle forniture di terre rare, le materie essenziali per l’elettronica la cui produzione è controllata dai cinesi.

Nel frattempo, aumentano gli investimenti americani ed europei per recuperare terreno nella produzione di chip in Occidente. La separazione del pianeta in diverse aree di influenza, con l’Occidente arroccato in difesa delle sue prerogative e il resto del mondo orientato a riaggiustare pragmaticamente i sistemi di alleanze e le filiere produttive, è una tendenza chiaramente in atto.

Se un tempo la risorsa strategica per la quale si facevano le guerre era il petrolio, oggi potrebbe diventare la capacità di produrre chip.

Non per nulla uno dei best seller dedicati alla distribuzione del potere nel mondo, scritto da Chris Miller, si intitola Chip War. The fight for the world’s most critical technology (Scribner 2022).

Il fulcro geopolitico della questione è concentrato su Taiwan, naturalmente.

L’isola è considerata dalla Cina parte integrante del suo territorio, ma è alleata dell’Occidente e produce una quantità enorme dei semiconduttori del mondo, grazie essenzialmente al leader di mercato Tsmc.

L’indurimento della politica americana sulle esportazioni di chip verso la Cina, si teme, potrebbe avvicinare il momento in cui la Cina deciderà di prendere possesso di Taiwan?

Le preoccupazioni del primo ministro di Singapore, Lee Hsien Loong, sono state recentemente espresse nel corso di una conferenza stampa in Australia.

Le ramificazioni delle decisioni americane sull’economia e sulla geopolitica mondiale, dice il primo ministro, saranno molto ampie e profonde.

La libertà di commercio degli anni scorsi non ha certo arricchito tutti. Ma la guerra commerciale dei prossimi anni potrebbe impoverire molti.

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