Economia

Il calcio italiano è sempre più indebitato

Secondo il report della Figc, lo sport più seguito dal Belpaese riscontra un deficit di 5,6 miliardi. L’aumento degli ingaggi, l’assenza di stadi di proprietà e la questione dei diritti tv tra le cause principali
Credit: Jonathan Moscrop/CSM via ZUMA Press Wire
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10 agosto 2023 Aggiornato alle 09:00

Il calcio italiano ha un debito di 5,6 miliardi.

L’allarme finanziario, lanciato dal ReportCalcio, il rapporto annuale sull’andamento dello sport più seguito in Italia (il 57% della popolazione), condotto dalla Figc in collaborazione con Arel e PwC, evidenzia le difficoltà da parte dei club professionistici nel ripartire dopo il periodo pandemico.

Nelle tre stagioni colpite dalle limitazioni imposte per il Covid-19, la perdita prodotta dai campionati di Serie A, Serie B e Serie C è stata pari a 3,6 miliardi di euro, facendo aumentare l’indebitamento totale del 17,2% rispetto ai 4,8 miliardi di euro di deficit risalenti alla stagione 18/19. Un tackle ruvidissimo per l’82,6% delle squadre professionistiche che, nel triennio 2019/2022, hanno chiuso il proprio bilancio in rosso.

«Il benchmark rispetto alle altre leghe europee evidenzia un gap che riguarda peggiori parametri economico-finanziari, una maggiore dipendenza dai ricavi per diritti televisivi, un minor minutaggio di giovani under 21 e di calciatori provenienti dai settori giovanili, insieme a minori investimenti infrastrutturali in stadi e centri sportivi», spiega Federico Mussi, partner di PwC.

Parole che confermano le difficoltà strutturali del nostro calcio, soprattutto per quanto riguarda gli scarsi livelli di patrimonializzazione (nel 2018/2019 si attestava appena all’11% del totale delle attività) che hanno ripercussioni sul mancato rinnovamento degli impianti sportivi e sull’assenza di stadi di proprietà.

In Europa, nel periodo 2007-2022, sono stati inaugurati 199 nuovi impianti con un investimento totale di circa 22,3 miliardi di euro. La presenza di infrastrutture moderne ha generato, a fronte di 2.009 milioni impiegati, un aumento dell’affluenza media del 53,7% in Inghilterra; del 44,7% in Francia, con una spesa di 2.074 milioni; mentre la Germania con un investimento di 951 milioni ha raggiunto un +37,7%.

La situazione è più critica in Italia: sono solo Juventus, Udinese, Frosinone, Albinoleffe e Sudtirol le squadre che hanno inaugurato il loro stadio nello stesso arco temporale. Riprendendo il problema della patrimonializzazione, è importante sottolineare come le uniche squadre di Serie A che dispongono di uno stadio di proprietà (Juve, Udinese, Sassuolo e Atalanta) debbano la loro edificazione al contributo di sponsor esterni alla società calcistica.

In aggiunta all’assenza infrastrutturale di proprietà, il Covid ha gravato sul bilancio dei club con una perdita stimata di 631,7 milioni di euro derivati dai potenziali ricavi da ticketing per i match poi disputatisi a porte chiuse.

Secondo il report, contribuisce alla crisi l’aumento degli ingaggi (+9,6%) e degli ammortamenti/svalutazioni (+19,5%) rispetto alla stagione 18/19, con il costo del lavoro sul valore della produzione, che è passato dal 53% al 70% del 21/22. Dati che giustificano come solo il 16% dei ricavi ordinari delle società non venga prosciugato dal costo del capitale umano.

«Per colmare questi gap (con i maggiori campionati europei, ndr) – continua Federico Mussi - è indispensabile una strategia di internazionalizzazione del nostro Sistema Calcio che passa anche dalla valorizzazione dei diritti TV e di broadcasting, di marchi e attività di merchandising».

Un divario difficilmente colmabile: il Napoli, campione d’Italia, ha incassato circa 64 milioni di euro dai diritti televisivi, mentre il Southampton, ultimo in Premier League, ha ricavato circa 131 milioni di euro. Una delle cause è l’ormai nota fruizione di contenuti pirata tramite abbonamenti Iptv illegali, in aumento del 5% in soli due anni.

«Un nuovo programma di sviluppo […] è un obiettivo ambizioso, che si potrà raggiungere attraverso una crescente innovazione dei modelli di gestione, al fine di costruire un’immagine e un percepito della Federazione che non dipenda solo dai risultati sportivi conseguiti, ma sia espressione autentica dei suoi valori, delle sue eccellenze, della sua unicità e della sua inclusività», commenta il presidente della Figc Gabriele Gravina.

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