Diritti

Kenya e Nigeria alla prova di maturità su tasse e tutele sociali

I governi di due degli Stati più rilevanti dell’Africa stanno realizzando politiche innovative in campo economico e a favore dei più bisognosi
William Samoei Ruto, President of Kenya, speaks at the Berlin Energy Transition Dialogue 23.
William Samoei Ruto, President of Kenya, speaks at the Berlin Energy Transition Dialogue 23. Credit: Britta Pedersen/dpa
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6 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

Da marzo in Kenya si moltiplicano le proteste contro il carovita, legato all’inflazione crescente che affligge l’Occidente e al conflitto russo-ucraino.

Un’inflazione effetto del rincaro delle materie prime ed esacerbata dalla svalutazione della moneta locale, lo scellino keniano, nei confronti del dollaro Usa che continua a essere la moneta di scambio del commercio internazionale.

Le proteste sono spesso animate dagli oppositori del governo ma coinvolgono anche i privati cittadini e hanno carattere spontaneo, come quelle accadute nei mercati e indirizzate ai commercianti cinesi accusati in qualche modo di ostacolare quelli locali applicando prezzi sotto valore di mercato. Nell’acuirsi del fenomeno, oggetto di scontro è divenuta l’introduzione di nuove tasse che comporterebbero, a detta degli oppositori, anch’esse un inasprimento dei prezzi e una generale impoverimento di varie fasce della popolazione. Tasse che sono volte a consentire la restituzione di diversi prestiti contratti in un periodo di finanza allegra durante il precedente governo, concessi per la realizzazione di infrastrutture che non sempre hanno sortito gli effetti sperati.

Evitare il default del Kenya attraverso nuove tasse è una misura che rafforzerebbe il valore dello scellino e in qualche modo combatterebbe l’inflazione legata alla svalutazione del cambio nei confronti del dollaro.

Si potrebbe tuttavia obiettare che la situazione del Paese non sia diversa da quella di molti altri, perché allora il Kenya merita una particolare attenzione?

La risposta è facile: si tratta di un’economia trainante per tutta l’Africa orientale, esempio d’innovazione tecnologica a partire dal fintech.

È inoltre una nazione non scevra dal rischio di terrorismo islamico (basta ricordare i diversi attentati eseguiti negli anni in centri commerciali, hotel e college universitari) e, seppure con vari limiti, caratterizzata da un forte dibattito politico e dalla presenza di una stampa forte e indipendente.

Oltre ad assumete il ruolo di leader, il Kenya con il nuovo corso del presidente William Ruto ci mostra una diversa Africa, che invece di rivolgersi alla comunità internazionale per ottenere tagli sul debito, cerca di reperire le risorse attraverso una maggiore base impositiva per fare fronte agli obblighi assunti.

Del resto è una raccomandazione non nuova del Fondo monetario Internazionale che l’introduzione di un sistema fiscale virtuoso sia uno dei passi necessari per assicurare sviluppo, consentendo interventi a favore di chi ne ha più bisogno, educazione scolastica e assistenza sanitaria.

In tal senso si sta muovendo anche il presidente Nigeriano Bola Tinubu, da poco nominato, che ha smesso di dare sussidi indiscriminati per contenere il prezzo dei carburanti, ma ha iniziato invece a progettare interventi mirati a favore dei più bisognosi. Inutile forse dire che anche in questo caso, il nuovo corso affronta dure opposizioni.

Dobbiamo augurarci che la prova di maturità che stanno dando i governi di questi rilevanti stati africani (la Nigeria è lo stato più popoloso d’Africa, il Kenya è paragonabile per popolazione all’Italia) possa andare avanti nel loro interesse ma anche in quelli di noi europei perché è solo con un processo di crescita continua che possiamo sperare di arginare, negli anni, i fenomeni migratori e limitarli a numeri gestibili.

Una prova di maturità alla quale noi stessi non siamo abituati, né a livello di cittadini né di politici e governanti: basta leggere i giornali nostrani e quel che molti dicono sulle tasse.

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