Diritti

Africa: i 20 anni del Protocollo di Maputo per i diritti delle donne

L’intesa, siglata nel 2003 dai rappresentanti dei capi di Stato e di Governo africani, prevede tutele per l’uguaglianza di genere. Secondo gli esperti, in molti Paesi le norme non sono state messe in atto
Credit: Oladimeji Odunsi
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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19 luglio 2023 Aggiornato alle 11:00

Risale a 20 anni fa l’adozione del Protocollo di Maputo, il trattato storico che promuove i diritti delle donne africane e l’uguaglianza di genere, che venne adottato dai capi di Stato e di Governo nell’omonima città, in Mozambico.

Composto da 32 articoli, il Protocollo alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa (questo il nome ufficiale) prevede ampi diritti: salute, riproduzione, benessere economico e sociale, istruzione e formazione, accesso alla giustizia e a pari protezioni davanti alla legge. Tuttavia, a 2 decenni di distanza, gli esperti sostengono che in molti Paesi queste norme siano rimaste irrealizzate.

In Malawi, per esempio, spiega il sito web AllAfrica, alle ragazze e alle donne viene negato il diritto allo sviluppo sostenibile e, secondo Unicef, il 9% delle ragazze si sposa entro i 15 anni e 1 su 2 entro i 18. Eppure, il Protocollo di Maputo fissa a 18 anni l’età minima per il matrimonio e stabilisce che tutte le unioni avvengano con il pieno consenso di entrambe le parti. Inoltre, solo alcuni dei firmatari hanno riformato le proprie leggi relative all’aborto; 8 hanno firmato il documento, ma a giugno 2023 non avevano ancora aderito, e non tutti e 55 gli Stati membri dell’Unione africana l’hanno ratificato.

La Solidarity for African Women’s Rights Coalition, Equality Now e Make Every Woman Count hanno realizzato un rapporto intitolato 20 anni di Protocollo di Maputo: A che punto siamo?, in cui spiegano che sono 11 i Paesi che non hanno ancora ratificato il documento: “il che significa che le donne e le ragazze di quei Paesi non possono godere degli stessi diritti delle altre donne e ragazze del continente.” Si tratta di Botswana, Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Egitto, Eritrea, Madagascar, Marocco, Niger, Somalia e Sudan.

Se, da una parte, la coalizione elogia i passi positivi compiuti per sostenere i diritti di donne e ragazze in Africa, con “numerosi atti legislativi emanati a livello nazionale in conformità con il Protocollo di Maputo”, “lodato come il trattato più progressista e completo sui diritti delle donne in Africa e nel mondo”, registra anche la mancanza di un’attuazione piena, efficace e significativa che produca “cambiamenti tangibili e misurabili nella vita delle donne e delle ragazze”.

Anthony Ajayi, ricercatore riguardo la salute riproduttiva, ha analizzato su The Conversation il modo in cui il documento ha cambiato la vita delle donne africane nel corso degli anni. Gli articoli 2 e 14, per esempio, “contengono disposizioni specifiche per proteggere i diritti sessuali e riproduttivi di donne e ragazze” e incaricano i Paesi membri di emanare e attuare norme “per ridurre tutte le forme di discriminazione, in particolare le pratiche dannose che mettono in pericolo la salute e il benessere generale”.

Grazie a questa disposizione 43 Paesi africani prevedono leggi che fissano l’età minima del matrimonio a 18 anni o più per entrambi i sessi, anche se alcuni prevedono eccezioni come il consenso dei genitori. Inoltre, “22 dei 29 Paesi africani che praticano la mutilazione genitale femminile hanno ora leggi nazionali che vietano questa pratica”.

Molti hanno implementato misure relative al diritto di decidere se avere figli e di scegliere qualsiasi metodo contraccettivo, ed eliminato le tariffe per i servizi di salute materna nelle strutture sanitarie di proprietà dello Stato. “Questo ha aumentato l’accesso a servizi sanitari materni di qualità per le donne e le ragazze emarginate” e “le morti materne sono diminuite notevolmente”, spiega Ajayi.

Per quanto riguarda l’aborto, 22 Paesi tra il 2000 e il 2021 hanno ampliato le proprie leggi per consentire il diritto a interrompere una nei casi di violenza sessuale, stupro, incesto, anomalie fetali pericolose per la vita e in caso di pericolo per la salute mentale e fisica della donna. Almeno 6 (Capo Verde, Sudafrica, Tunisia, Mozambico, São Tomé e Príncipe) consentono l’aborto su richiesta della donna durante il primo trimestre di gravidanza. Nell’Africa sub-sahariana, però, il Guttmacher Institute di New York stima che il 77% degli aborti, ovvero più di 6 milioni all’anno, non sia sicuro, mentre secondo le Nazioni Unite, nel 2020, circa il 70% di tutte le morti materne si è verificato nell’Africa subsahariana.

Ajayi spiega che “laddove i diritti delle donne e delle ragazze sono stati violati, il Protocollo di Maputo è diventato uno strumento per ottenere un risarcimento legale e per chiedere conto del proprio operato”. Cita, per esempio, una sentenza del dicembre 2020 che ha stabilito che il Governo del Kenya ha dovuto pagare un risarcimento da migliaia di dollari per aver violato diversi documenti per i diritti umani, tra cui lo stesso Protocollo di Maputo, “per non aver indagato e perseguito i casi di violenza sessuale e di genere avvenuti durante le violenze post-elettorali del 2007”.

Un’altra, del 2019, in cui la Corte di giustizia dell’Ecowas - Economic Community of West African States ha stabilito che il divieto di andare a scuola per le studentesse incinte in Sierra Leone violasse gli articoli 2 e 12 del Protocollo di Maputo; dopo la sentenza, il Governo l’ha revocato.

Oltre agli 11 Paesi che non hanno ancora ratificato il documento, Ajayi sottolinea che tra i firmatari ce ne sono 11 che permettono ancora alle ragazze sotto i 18 anni di sposarsi, e uno non prevede un’età minima per il matrimonio. “In 5 di questi Paesi sono in corso riforme legali”, “ci sono stati miglioramenti nei risultati della salute sessuale e riproduttiva e “le morti materne e la trasmissione del virus HIV sono diminuite”. Tuttavia, l’incidenza rimane relativamente alta in molti Paesi, così come la violenza sessuale e di genere, il matrimonio infantile e la mutilazione genitale femminile.

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