Economia

Lavoro, aumentano le libere professioniste: sono il 42%

Nel 2007 si assestavano al 30%: lo rivela l’analisi Donne e professione dell’Associazione degli enti previdenziali privati. Tra gli altri temi analizzati: attività di cura, gender pay gap, differenze tra Nord e Sud
Credit: Polina Zimmerman
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20 luglio 2023 Aggiornato alle 13:00

Il divario di genere nel mondo del lavoro è ancora ben presente. A fornire un quadro generale riguardo la situazione delle lavoratrici, in particolare delle libere professioniste, è il focus Donne e professione realizzato da Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati), presentato nelle sede di Roma dell’Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri).

L’indagine si è svolta nel corso del 2022 e ha coinvolto 16 enti di previdenza, 107.000 i partecipanti di cui 45.000 donne e 62.000 uomini. «Tra le finalità di questa indagine vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare», ha dichiarato la vicepresidente di Adepp Tiziana Stallone.

Ciò che emerge sin dall’inizio è ancora un forte divario retributivo, che diventa ancor più ampio con il passare dell’età e, quindi, con una maturazione professionale. Inoltre, nel momento in cui si entra nel mondo del lavoro, le professioniste di età inferiore a 30 anni percepiscono uno stipendio inferiore del 20% rispetto a quello di un uomo. Eccezione, invece, per alcune categorie particolari come biologhe, infermiere, veterinarie o psicologhe dove il gap retributivo è pressoché contenuto.

Molto spesso, però, la differenza di retribuzione è dovuta a una questione centrale: le donne dedicano meno tempo all’attività professionale rispetto agli uomini. Se la percentuale degli uomini che lavora più di 8 ore al giorno è pari al 59%, quella delle donne si ferma al 40%.

Chi si occupa dei figli mentre lavori?” è una domanda chiave, e la risposta fa riflettere: il 66% degli uomini ha risposto che a occuparsi della famiglia è la propria moglie o compagna, mentre solo il 17% delle donne ha indicato nella risposta il proprio compagno o marito. Le responsabilità legate alla famiglia e alla casa, quindi, ricadono nella maggior parte dei casi sulla componente femminile del nucleo.

Una buona notizia, invece, riguarda l’aumento delle donne nelle libere professioni: se si considera il periodo di tempo che va dal 2007 al 2021, si è passati da una percentuale del 30% al 42%, nonostante ci siamo molte differenze tra le varie fasce d’età.

La conferma della “femminilizzazione” delle professioni viene anche da Antonella Polimeni, rettrice dell’università La Sapienza di Roma: «abbiamo i dati delle ultime 48 ore sulle iscrizioni a medicina e odontoiatria, su 80.000 iscritti il 76% sono donne. Le donne sono più studiose, prendono voti di laurea più alti, poi si verifica il fenomeno delle condutture che perdono». Ma non solo, «l’università deve essere un luogo di sperimentazione di politiche di genere ed è lì che invece notiamo la difficoltà delle donne a fare carriera. I professori ordinari donne non superano il 26%».

A causa delle grandi differenze territoriali anche dal punto di vista dei servizi, inoltre, le donne sono caratterizzate da una maggiore mobilità rispetto agli uomini e tendono a spostarsi più facilmente. I maschi del Sud Italia che si trasferiscono al Nord sono il 15% e la percentuale scende al 10% per coloro che si spostano verso il Centro Italia; le donne che, invece, dal Sud si trasferiscono al Nord sono il 21% e coloro che si spostano verso le Regioni centrali sono il 18%.

Le grandi differenze territoriali si riscontrano anche nei servizi dell’infanzia come i nidi, fondamentali per permettere a un numero sempre più alto di donne di entrare nel mondo del lavoro e, al tempo stesso, creare i presupposti per contrastare la denatalità. In base al report pubblicato da Istat, il Nord-Est e il Centro Italia hanno raggiunto e superato il target europeo del 33%. Il Nord-Ovest si appresta a raggiungerlo (30,8%) mentre il traguardo è ancora lontano per il Sud e le Isole (rispettivamente 15,2% e 15,9%).

Non sconvolge, dunque, il calo demografico dovuto a essenzialmente 2 motivi, come evidenziato da Alberto Oliveti, pediatra e Presidente dell’Adepp: da un lato, un numero sempre più basso di donne in età da gravidanza; dall’altro, la grave carenza di strutture e servizi come, appunto, gli asili nido.

Ciò che è preoccupante è anche il tasso di occupazione femminile, come ha dichiarato la dirigente Istat Linda Laura Sabbadini: «In Italia metà delle donne non ha indipendenza economica e autonomia. Siamo il Paese che nella classifica europea è ultimo per tasso di occupazione femminile e il peso che ha una donna con o senza figli in Italia è maggiore rispetto a Germania e Francia ma anche alla Grecia». In Italia, infatti, il tasso di occupazione femminile è pari al 52,1% contro il 75% della Germania e il 78% della Francia.

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