Diritti

Arabia Saudita: com’è essere una donna oggi?

Negli ultimi anni la situazione è notevolmente migliorata: ora le saudite possono guidare, vivere da sole, richiedere passaporti e aprire attività senza il consenso maschile. Ma il divario di genere rimane
Credit: EPA/IDREES MOHAMMED EPA-EFE/IDREES MOHAMMED
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 luglio 2023 Aggiornato alle 13:00

Fino a giugno del 2018 le donne in Arabia Saudita non erano autorizzate a guidare. Da allora, grazie ai cambiamenti introdotti dal principe ereditario Mohammed bin Salman nel 2016, il sovrano de facto del regno noto come Mbs, questi e altri diritti fondamentali sono stati ampliati anche alle cittadine.

Le riforme, parte del programma Vision 2030, volto a trasformare radicalmente la società e a ridurre la dipendenza del Paese dal petrolio, hanno concesso anche alle donne di diventare astronaute (la ricercatrice biomedica Rayyanah Barnawi è stata la prima saudita ad andare nello Spazio) ambasciatrici, direttrici di banca, e molto altro. Gli attivisti per i diritti umani, però, dubitano di questa ondata di rinnovamento, denunciando una campagna di arresti più dura contro i critici del Governo che ha colpito anche le donne.

«Abbiamo sempre più donne in prigione, o perché non indossano l’abaya (la lunga tunica di colore nero che copre tutto il corpo eccetto la testa, i piedi e le mani, ndr) o, sai, per ballare in pubblico o per twittare le loro opinioni, qualunque sia l’argomento, anche sulla disoccupazione - ha detto a France24 Lina al-Hathloul, responsabile del monitoraggio e della comunicazione per Alqst, Ong indipendente fondata nel 2014 dal difensore dei diritti umani dell’Arabia Saudita Yahya Assiri per promuovere le libertà fondamentali nel Paese - Siamo davvero in uno stato di costante paura che le persone non sappiano veramente cosa sta succedendo o se gli è permesso fare qualcosa o no».

I funzionari sauditi cercano di mantenere l’attenzione internazionale puntata sui diritti concessi alle donne, che dal 2019 possono vivere da sole, richiedere passaporti e aprire attività senza il consenso maschile, solitamente del padre, del marito o del fratello. Nel 2018 è stata cambiata anche la regola relativa all’abbigliamento obbligatorio per le donne: il principe ereditario Mbs ha spiegato che le leggi della Sharia non si riferiscono «nello specifico a un abaya nero o un copricapo nero. La scelta di decidere quale tipo di abbigliamento decoroso e rispettoso indossare spetta interamente alle donne».

Al World Economic Forum di Davos l’Arabia Saudita si è anche pregiata dell’aumento della percentuale di donne nella forza lavoro, che dal 2016 è passata dal 17% al 37%. Le riforme hanno anche apparentemente contribuito a incrementare l’occupazione femminile, come mostra il recente rapporto dell’Autorità generale per le statistiche: il tasso di disoccupazione tra le donne saudite è sceso dal 20,5% nel terzo trimestre del 2022 al 15,4% nell’ultimo trimestre.

Ma, nonostante i recenti cambiamenti, le donne continuano a guadagnare meno dei loro colleghi: secondo i dati diffusi dall’Organizzazione saudita europea per i diritti umani il gender gap salariale nel 2022 variava tra il 4% all’interno del settore pubblico, di proprietà del Governo, e circa il 36% nel settore privato, anche se il sistema del lavoro saudita ufficialmente proibisce la discriminazione di genere nei salari.

Inoltre, racconta il New York Times, il Paese continua a ricevere molte critiche per il suo record negativo relativo ai diritti umani. Nonostante abbia aperto le porte a “tutti i visitatori”, l’indice di viaggio Lgbtq+ Travel Safety Index ha classificato l’Arabia Saudita penultima al mondo in termini di sicurezza per la comunità Lgbtq+.

Nel Paese i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono ancora considerati un reato. Sotto la leadership di Mbs e di suo padre re Salman, poi, le esecuzioni sono aumentate drasticamente, registrando una crescita dell’82% dal 2015. Pochi giorni fa i funzionari delle Nazioni Unite hanno chiesto il rilascio di 2 donne saudite, Salma al-Shehab e Nourah bint Saeed al-Qahtani, condannate rispettivamente a 34 e a 45 anni di carcere la scorsa estate dopo essere state arrestate in casi separati nel 2021.

«Tutte queste riforme sono modifiche legali: sono riforme scritte, ma ciò non significa automaticamente che siano pratiche», ha detto a France24 Sussan Saikali dell’Arab Gulf States Institute di Washington, istituzione indipendente senza scopo di lucro che fornisce ricerche e analisi riguardo gli Stati arabi del Golfo. Ciò che denunciano gli attivisti è che le donne, tra le mura di casa, continuano a essere in balia degli uomini.

Secondo l’attivista e scrittrice saudita Hala al-Dosari, alcune donne «si illudono che grazie all’apertura degli spazi pubblici, all’alleggerimento delle restrizioni sul codice di abbigliamento femminile e sulla mescolanza dei sessi, ora possano muoversi più liberamente in quegli spazi», ma la verità è che molte rimangono «vittime dell’oppressione statale o delle loro stesse famiglie».

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