Diritti

Salma al-Shehab: 34 anni di carcere per “tweet”

L’Arabia Saudita ha accusato la studentessa e attivista per i diritti umani di aver utilizzato i social network per minare la sicurezza della società e la stabilità dello Stato
Credit: Via NPR
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
19 agosto 2022 Aggiornato alle 07:00

Nel 2021 Salma al-Shehab era in vacanza in Arabia Saudita quando venne arrestata. La cittadina saudita di 34 anni, dottoranda all’Università britannica di Leeds e madre di due figli, è stata ora condannata, nel silenzio, a 34 anni di carcere. Non era mai stato raggiunto questo drammatico record da un’attivista “pacifica, non violenta”, secondo alcuni gruppi per i diritti umani.

Il motivo? Prima che venisse arrestata il 15 gennaio 2021 la donna, residente in Gran Bretagna, aveva condiviso dei tweet che chiedevano riforme in Arabia Saudita e il rilascio di attivisti, religiosi e altri importanti intellettuali. Un post di allora elogia le “prigioniere di coscienza”, un gruppo di attiviste per i diritti delle donne imprigionate poco prima della revoca del divieto di guida alle donne nel 2018: successivamente sono state condannate per crimini contro lo Stato. L’account di Shehab è ancora attivo, ma secondo il Washington Post la corte avrebbe stabilito che il suo cellulare sarà confiscato e il profilo sarà chiuso definitivamente.

Come riporta l’emittente britannica Bbc, alcuni gruppi per i diritti umani con sede negli Stati Uniti e nel Regno Unito, The Freedom House e Alqst for Human Rights, hanno riferito che Shehab aveva atteso nove mesi e mezzo prima di iniziare un processo. Poi era stata inizialmente condannata a 6 anni di reclusione per aver violato le leggi contro la criminalità informatica e antiterrorismo. Poi, la donna aveva fatto ricorso e il 9 agosto una corte d’appello ha aumentato la pena a 34 anni, ma non solo: la donna non potrà viaggiare per altri 34 anni, periodo che inizierà dopo il suo rilascio. Secondo il tribunale avrebbe aiutato i dissidenti colpevoli di “disturbare l’ordine pubblico” e pubblicato “false voci”.

Human Rights Watch, a fine aprile 2022, aveva messo in guardia la comunità internazionale sull’uso della legge antiterrorismo e anti-criminalità informatica da parte del governo, sostenendo che includevano “disposizioni vaghe ed eccessivamente ampie che sono state enormemente interpretate e abusate”. Secondo l’Organizzazione saudita europea per i diritti umani, che monitora gli arresti nel regno, la decisione di condannare Shehab ai sensi della legge antiterrorismo “conferma che l’Arabia Saudita tratta come terroristi coloro che chiedono riforme e criticano attraverso i social network”.

Shehab fa parte della minoranza sciita dell’Arabia Saudita governata dai musulmani sunniti. Sul suo account Instagram si descrive come igienista dentale ed educatrice medica. È all’ultimo anno dei suoi studi di dottorato presso la School of Medicine dell’Università di Leeds, ed è docente presso la Princess Nourah University di Riyadh, capitale e primo polo finanziario dell’Arabia Saudita.

Bethany Al-Haidari, case manager saudita presso la Freedom Initiative, ha detto alla Bbc che si tratta di una sentenza «ripugnante». Lei e l’associazione avrebbero ricevuto rapporti che attestano la presenza di centinaia di giovani donne nei centri di detenzione nello stesso periodo in cui era imprigionata Shehab. L’attivista Loujain al-Hathloul, rilasciata in libertà vigilata un mese dopo l’arresto di Shehab, è la sorella della responsabile delle comunicazioni di Alqst, Lina al-Hathloul: «La sua scarcerazione è avvenuto in risposta a continue pressioni internazionali. Tuttavia, poiché i riflettori sull’Arabia Saudita si sono gradualmente affievoliti, le autorità sono tornate al loro modello abituale di repressione», ha detto alla Bbc.

Questo perché il principe ereditario Mohammed bin Salman, sovrano de facto dell’Arabia Saudita, sta ricevendo una «crescente riabilitazione» da parte della comunità internazionale. Lo dimostra la recente visita del presidente Joe Biden a Gedda, andato a portare «un messaggio di pace», o l’incontro tra Emmanuel Macron e il principe saudita a Parigi.

Lo stesso principe saudita accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khasshogi ben tre anni fa, in Arabia Saudita. Lo stesso Paese in cui, solo due mesi fa e dopo una serie di pressioni da parte di importanti ong come Amnesty International, il più giovane prigioniero politico del Paese, Murtaja Qureiris, è stato rilasciato. Era stato arrestato nel 2014, quando aveva 13 anni, per presunte accuse di terrorismo relative a fatti accaduti quando ne aveva 10. Ha rischiato l’esecuzione mediante crocifissione.

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