Diritti

Tre afghane vincono il premio Lantos per i diritti umani

Sono la giudice Fawzia Amini, la prima ceo del Paese Roya Mahboob e la co-fondatrice e capitana della prima squadra di calcio femminile afghana Khalida Popal
Le vincitrici del Lantos Prize: Fawzia Amini, Roya Mahboob e Khalida Popal.
Le vincitrici del Lantos Prize: Fawzia Amini, Roya Mahboob e Khalida Popal. Credit: Babette Rittmeyer-Stephen Bradley/c/o Lantos Foundation
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
27 maggio 2022 Aggiornato alle 13:00

Fawzia Amini vive in una camera d’albergo di Londra da nove mesi con suo marito e le quattro figlie. Sono fuggiti dall’Afghanistan nel 2021: quando i talebani hanno ripreso il potere, entrando a Kabul il 15 agosto scorso, la famiglia si è trovata costretta a lasciare casa, abitudini, e terra d’origine.

Probabilmente la giudice si trovava lì, in hotel, quando ha saputo di aver vinto il premio Lantos per i diritti umani del 2021, un riconoscimento che pone l’attenzione sugli eroi del movimento per i diritti umani premiando quelle figure pubbliche di alto profilo che si battono per la difesa di questi valori. Poi ha preso un aereo per Washington Dc e si è recata alla premiazione, avvenuta il 18 maggio.

A ritirare lo stesso premio, altre due donne straordinarie: la prima donna ceo del Paese Roya Mahboob e la co-fondatrice e capitana della prima squadra di calcio femminile afghana Khalida Popal. Ognuna di loro ha contribuito a promuovere i diritti delle donne e i diritti umani in Afghanistan e anche al di fuori del loro Paese d’origine nei campi del diritto, della tecnologia e dello sport.

Simbolo di un impegno costante per l’emancipazione femminile, Amini, Mahboob e Popal hanno ricevuto la stessa onorificenza consegnata in precedenza a personaggi del calibro del Dalai Lama, nel 2009, del presidente israeliano Shimon Peres, della “madre” degli uiguri Rebiya Kadeer, di Paul Rusesabagina, l’eroe del celebre film sul genocidio contro la minoranza tutsi “Hotel Rwanda”, e dell’attivista per i diritti umani di Hong Kong, il venticinquenne Joshua Wong, nel 2018.

Fawzia Amini è stata una delle principali donne giudici dell’Afghanistan, è stata a capo del dipartimento legale del Ministero degli affari femminili (soppresso de facto ad agosto 2021), giudice senior della Corte Suprema e capo del tribunale contro la violenza sulle donne. Quando i talebani hanno preso il potere hanno svuotato le carceri di molti dei violenti criminali condannati da Amini. Individui che, una volta assaporata la libertà, hanno subito iniziato a minacciare la sua vita.

Dalla sua camera di Londra, Amini sta tentando di portare in salvo – a distanza - 93 giudici donne e le loro famiglie a rischio in Afghanistan. Cifra che, dalla sua partenza, non è ancora diminuita.

Amini insegna segretamente alle donne afghane su Zoom quali siano i loro i diritti fondamentali, che sono sempre più disattesi dai talebani che hanno rinnegato la promessa di consentire alle ragazze di frequentare le scuole secondarie, oltre ad aver limitato la libertà femminile di spostarsi fuori casa: possono farlo solo se coperte dalla testa ai piedi. Di recente hanno obbligato con un decreto le presentatrici televisive e coprire il viso durante la diretta.

Amini e la sua famiglia non sono gli unici afghani a risiedere nell’albergo nel cuore di Londra: altri 100, come loro, non hanno idea di quando verranno trasferiti in una casa permanente, come promesso dal ministero dell’Interno. Alcune fonti governative hanno rivelato al Guardian che tale condizione riguarda 12.000 afghani nel Regno Unito: le autorità assicurano che stanno lavorando sempre più velocemente per distribuirli al meglio in alloggi permanenti.

A differenza di Amini, Mahboob e Popal hanno lasciato l’Afghanistan diversi anni fa e vivono rispettivamente a New York e a Farum, in Danimarca. Alla cerimonia, la co-fondatrice ed ex capitana della nazionale afgana di calcio femminile Khalida Popal si è detta preoccupata per l’incolumità delle sue «sorelle afghane, che non hanno protezione. Quando ho iniziato a incoraggiare le ragazze a praticare sport, ad alzare la voce e a opporsi all’ideologia dei talebani, non sapevo che presto lo spettacolo sarebbe finito». I talebani, secondo Popal, non potranno mai cambiare.

La terza vincitrice, la prima amministratrice delegata del Paese e co-fondatrice dell’Afghan Girls Robotics Team Roya Mahboob, si è lamentata del fatto che gran parte del talento afghano è stato costretto a fuggire dopo il ritorno dei talebani: «Attivisti per i diritti umani e per i diritti delle donne, giudici, intellettuali, educatori e altri che hanno nutrito le più alte speranze per la loro nazione. Sono l’anima stessa dell’Afghanistan e ora sono in esilio». Ma, ha concluso Mahboob, «nemmeno il crollo di una nazione e l’evacuazione di massa della popolazione possono fermare una ragazza istruita».

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