Diritti

Burqa, non ci avrai

Con il governo dei talebani il ritorno al burqa si fa sempre più vicino: le donne afghane scendono in piazza, a rischio della propria vita
Credit: Reuters
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18 gennaio 2022 Aggiornato alle 07:00

Nelle ultime ore il Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan ha disseminato Kabul di manifesti che esortano le donne a coprirsi. Poche righe accompagnate da due immagini di donne coperte, una da un velo nero e una palesemente da un burqa, il capo d’abbigliamento che nasconde tutto il corpo, anche viso e occhi, che riescono a vedere solo attraverso una piccola finestrella di retina all’altezza dello sguardo.

Fortissimo il timore che quello che viene presentato come un suggerimento diventi presto un ordine. Mettendo a rischio la loro vita alcune donne afghane sono scese in piazza per manifestare contro quella che potrebbe essere l’ennesima restrizione imposta dal governo talebano.

Accompagnata da un video, che gira in rete - di un burqa a cui viene dato fuoco, la protesta si è svolta sotto lo slogan “burka is not my identity” - . Intervistate dal sito afgano Tolo News, alcune manifestanti hanno affermato che il burqa non fa parte dell’identità culturale afgana e che richiederlo serve solo a preservare la cultura degli stranieri in Afghanistan. “Oggi voglio dire che il burqa non è il nostro hijab, è l’hijab che ci è stato imposto da Gran Bretagna e India” ha detto Shabana Shabdiz, una delle sostenitrici della protesta. Un’affermazione che riaccende il dibattito sull’origine pre-islamica del velo e su quanto esso sia realmente espressione delle regole contenute nel Corano. O piuttosto un’imposizione muscolare volta a limitare le libertà delle donne, priva di qualsiasi fondamento ideologico e religioso.

Sempre stando alla testata afgana, i funzionari del governo difendono l’operazione in quanto volta a incoraggiare le donne a osservare la hijab: “L’hijab è l’ordine di Dio, il profeta e la Sharia islamica. Non forziamo nessuno né gli imponiamo l’hijab in modo minaccioso”, ha affermato Mohammad Saddiq Akef, portavoce del Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio.

Purtroppo però le iniziali promesse di un governo “inclusivo” nei confronti delle donne fino a oggi si sono tradotte in pura propaganda, senza nessun riscontro reale, anzi: il paese sembra andare in tutt’altra direzione. Attualmente le donne non hanno ancora libero accesso a scuola e lavoro, non possono far parte del governo e molto rapidamente, giorno dopo giorno, stanno perdendo i loro diritti. La manifestazione dello scorso 28 dicembre - terminata con gli spari della polizia sulla folla - è avvenuta a pochi giorni dall’introduzione del divieto alle donne di percorrere più di 75 chilometri dalle loro abitazioni senza la compagnia di un parente uomo.

Mercoledì 12 gennaio il Ministro dell’istruzione ha annunciato la riapertura dell’Università pubblica (anche se non si sa ancora bene quando) e che la frequenza delle donne sarà consentita, ma in classi separate da quelle degli uomini. Impuntando alla mancanza di aule sufficienti a garantire questa divisione, uno dei motivi dei ritardi.

Continue voci su presunti omicidi, minacce di morte e storie di oppressione quotidiana delineano una situazione che sembra solo in peggioramento.

L’appello delle donne afgane, il messaggio che unisce le sparute proteste con cui alcune di loro mettono a repentaglio la propria vita, è unanime e rivolto al resto del mondo: quello di non restare in silenzio di fronte a questa crescente violazione dei loro diritti, che lede prima di tutto la loro dignità di esseri umani, oltre che di donne.