Diritti

Hong Kong ha un nuovo leader (filocinese)

John Lee è stato eletto Capo Esecutivo dell’ex colonia britannica, quasi all’unanimità. Era tra i promotori della dura repressione delle proteste civili del 2019
John Lee, neoeletto Capo Esecutivo di Hong Kong.
John Lee, neoeletto Capo Esecutivo di Hong Kong. Credit: EPA/JEROME FAVRE
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11 maggio 2022 Aggiornato alle 17:00

Uno dei più importanti centri finanziari ed economici dell’Asia ha subito un cambio di leadership all’insegna dello status quo pro-cinese. L’ex Segretario della sicurezza di Hong Kong, John Lee, è stato nominato Capo Esecutivo dell’ex colonia britannica quasi all’unanimità, essendo l’unico candidato votato dal comitato elettorale con 1.416 voti su 1.500.

Questa elezione è stata vista dagli osservatori internazionali come una mossa da parte del governo cinese per rafforzare il controllo sulla città e inasprire ulteriormente le leggi contro i dissidenti. «Senza i democratici, sarà più facile governare per il Capo Esecutivo essendoci meno pesi e contrappesi» ha sostenuto Ivan Choy, docente dell’Università cinese di Hong Kong.

Il nuovo governatore è stato uno dei principali architetti della repressione delle proteste del 2019, nate dal progressivo deterioramento del sistema democratico di Hong Kong sotto le spinte legislative promosse da Pechino.

Con una lunga carriera negli apparati di sicurezza all’insegna della fedeltà nei confronti della Potenza cinese, negli anni passati John Lee si era fatto promotore delle legislazioni più dure. A partire dalla controversa Legge sull’estradizione che aveva fatto da detonatore per le proteste di massa a favore delle libertà politiche garantite nella città asiatica e il mantenimento del principio “una nazione, due sistemi”.

Milioni di cittadini erano scesi nelle strade per contestare una legislazione sempre più aggressiva e non rispettosa dei diritti umani, con il pericolo concreto della persecuzione dei dissidenti politici e la loro estradizione nell’entroterra cinese grazie a dei cavilli legali.

Le enormi proteste avevano scatenato fin da subito una ferma repressione guidata proprio da John Lee, con migliaia di feriti, tattiche di contenimento con l’uso di armi da fuoco, tecnologie di riconoscimento facciale e bande armate predisposte per la caccia ai dissidenti.

Successivamente nel 2020 sempre Lee era diventato uno dei principali supporter della “Legge per la sicurezza nazionale”, la quale ha diminuito drasticamente i diritti civili e politici dando al governo locale i poteri per arrestare i cittadini accusati di atti di “sedizione, sovversione e secessione”, consentendo così di reprimere in modo arbitrario i movimenti a favore della democrazia.

La sua elezione, in seguito alla mancata ricandidatura della precedente governatrice Carrie Lam, ha suscitato fin da subito dure reazioni nei Paesi occidentali, con l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea Josep Borrell che ha testualmente affermato: «L’elezione del Capo Esecutivo viola i principi democratici e il pluralismo politico in Hong Kong. Il processo di selezione è un ulteriore passo nello smantellamento del principio “una nazione, due sistemi”».

Da parte sua Lee ha elencato che le sue priorità saranno il mantenimento dell’ordine politico-sociale in modo da favorire lo sviluppo dell’area economica, mentre il governo cinese ha ribadito che «la società di Hong Kong ha un alto livello di approvazione e riconoscimento nei confronti di Lee».

L’elezione del nuovo governatore conferma nei fatti la progressiva annessione dell’ex colonia inglese all’interno del sistema politico cinese e la fine del vecchio pluralismo politico.

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