Diritti

Il governo inglese inizia i “ricollocamenti” in Ruanda

La procedura annunciata da Boris Johnson diventa realtà: i primi 50 richiedenti asilo entrati nel Regno unito illegalmente verranno portati nel Paese africano. Immediata la reazione dell’Unhcr
Credit: Alex Motoc/Unsplash
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18 maggio 2022 Aggiornato alle 13:00

Da pochi giorni è stata avviata da parte del governo inglese la controversa e contestata procedura di ricollocamento in Ruanda dei richiedenti asilo entrati nel Regno Unito, con le prime 50 persone destinate a essere deportate nel Paese africano, a circa 6.500 km di distanza dalla nazione britannica. Una procedura frutto dell’accordo bilaterale, siglato nel mese di aprile, da parte del Segretario di Stato per gli affari interni Priti Patel con il governo ruandese guidato dal presidente Paul Kagame.

Il memorandum intitolato “Migration and Economic Development Partnership” prevede un investimento iniziale di 120 milioni di sterline, destinato al Paese africano, con il preciso scopo di “esternalizzare” le frontiere inglesi e scoraggiare i flussi migratori nel canale della Manica, con una decisa militarizzazione del tratto di mare.

I richiedenti asilo entrati nel Paese dal 1 gennaio 2022 (compresi i nuovi profughi provenienti dall’Ucraina), saranno progressivamente trasportati in Ruanda dove le loro richieste verranno esaminate in loco. In caso di rigetto la loro sorte verrà decisa dalle autorità ruandesi che valuteranno se concedere comunque la permanenza nel proprio territorio, oppure se deportare a loro volta i migranti in un Paese terzo o nei Paesi di origine. Anche in caso di approvazione della richiesta d’asilo, i migranti non potranno comunque far ritorno nel Regno Unito.

Questo accordo è il culmine di una serie di sforzi da parte del governo di Boris Johnson per stroncare i flussi illegali, scegliendo di adottare le politiche più dure sulla scia della Brexit: «Non possiamo sostenere un sistema parallelo illegale. La nostra compassione può essere infinita, ma la nostra capacità di aiutare le persone no. Il popolo britannico ha votato più volte per controllare i nostri confini. Non per chiuderli, ma per controllarli».

Immediata la reazione delle opposizioni e delle organizzazioni internazionali, sconcertate dall’accordo stipulato. L’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha espresso in un comunicato una ferma condanna, dichiarando tramite il Vice Alto Commissario per la Protezione Gillian Triggs che “tale accordo cambia semplicemente le responsabilità dell’asilo, elude gli obblighi internazionali, ed è contrario alla lettera e allo spirito della Convenzione sui Rifugiati”.

Molti commentatori hanno sollevato il pericolo posto dal governo ruandese, che ha un lungo trascorso di atti di repressione e violazione dei diritti umani, specialmente nei confronti dei rifugiati, incluse donne e minori, rinchiusi in squallidi campi di detenzione e spesso seviziati dalle guardie locali.

Il ricercatore François Gemenne dell’università francese Sciences Po ha denunciato pubblicamente il memorandum sostenendo che “non è chiaro come verrà implementato. Non sappiamo come i richiedenti asilo verranno mandati in Ruanda o come saranno trattati dopo il loro arrivo. Saranno dislocati in centri di detenzione? Ci sarà una procedura di appello? Avranno accesso agli interpreti? Il Ruanda non è un modello per i diritti umani”.

Nonostante le forti polemiche il governo britannico sembra intenzionato ad andare avanti, copiando espressamente le controverse e criticate strategie dei governi australiano, danese e israeliano riguardo i flussi migratori.

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di Redazione 3 min lettura