Ambiente

Trattato protezione Alto Mare: non dobbiamo abbassare la guardia

Davanti abbiamo una strada in salita: una volta divenuto efficace il documento, i lavori di implementazione partiranno soltanto un anno dopo. Attraverso le Cop
Credit: Milos Prelevic
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6 luglio 2023 Aggiornato alle 06:30

Lo scorso 19 giugno l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato il Trattato di protezione dell’Alto Mare, il cui testo era stato definito a marzo di quest’anno. Sul contenuto molto si è scritto e, per tale motivo, rinvio a quanto già pubblicato su questo giornale.

Un’ottima notizia e una grande traguardo ma come spesso accade e per rimanere in tema “tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare”.

Il Trattato, infatti, diverrà efficace soltanto dopo che siano trascorsi 120 giorni dalla ratifica del sessantesimo Stato: sì perché i trattati, anche quando sono approvati dagli Stati in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite, devono essere ratificati dagli stati aderenti secondo le procedure interne e, una volta divenuti efficaci, essi vincolano soltanto i ratificanti.

Considerato che l’approvazione del testo di marzo deriva da precedenti incidenti di percorso, che per rimanere in tema potremmo chiamare naufragi, per la mancanza di volontà decisionale da parte di Stati Uniti, Cina e Russia, il tema della ratifica non appare secondario.

Questa volta tutti i Paesi rappresentati nell’assemblea hanno votato sì, ma la Russia ha già detto che ha dato il suo voto favorevole per non interrompere il processo, ma che non trova il Trattato soddisfacente. La Cina appare spinta invece da un genuino e dichiarato spirito di protezione dell’ambiente; quanto agli Stati Uniti, c’è da chiedersi quanto una ratifica possa darsi per scontata laddove Trump o qualche suo seguace sia eletto alle prossime presidenziali.

Una strada ancora in salita allora, considerato poi che, una volta divenuto efficace il Trattato, i lavori di implementazione partiranno soltanto un anno dopo, attraverso le Conference of Parties (le famose Cop, con diverse numerazioni a indicare le riunioni annuali svoltesi, che ormai siamo abituati a sentire almeno due volte all’anno, relative l’una al trattato sul cambiamento climatico e l’altra alla protezione della biodiversità).

Inoltre, altro aspetto da non sottovalutare è che il Trattato pone il finanziamento delle spese necessarie per la sua implementazione sugli Stati ratificanti e, quindi, non basterà che gli Stati delle piccole isole (Small Islands Developing States) che vivono grazie alla ricchezza del mare, anche in termini di biodiversità, e di quelli più esposti ai cambiamenti climatici ratifichino il Trattato, magari raggiungendo la fatidica soglia 60, ma avremo bisogno della partecipazione degli Stati più sviluppati affinché il Trattato stesso possa spiegare i suoi effetti anche in termini di risorse finanziarie disponibili.

Il primo obiettivo da raggiungere è fissato per il 2030, una data che non è così lontana.

Un motivo in più per essere non solo spettatori attenti ma anche cittadini esigenti nel richiamare le forze politiche all’urgenza delle varie agende ambientali e delle azioni da intraprendere a partire dalla ratifica.

Un motivo in più di gratitudine per coloro che ogni giorno, a volte anche con strumenti non condivisi, ci ricordano che l’orologio scorre, che tu lo voglia o no.

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