Ambiente

Finalmente proteggeremo la parte più vasta e sconosciuta dell’oceano

Dopo decenni di tentativi è arrivato l’accordo sull’alto mare, le acque internazionali “di nessuno” che rappresentano quasi la metà del Pianeta. Entro il 2030, il 30% sarà collocato in aree marine protette
Credit: Francesco Ungaro
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6 marzo 2023 Aggiornato alle 14:00

Svolta storica per la tutela dell’oceano: entro il 2030 le Nazioni Unite si impegneranno a collocare il 30% dell’alto mare in aree marine protette.

Una decisione attesa da decenni, quella presa nella notte fra sabato e domenica a New York nella sede dell’Onu, che va in una direzione chiara: anziché tutelare a ogni costo gli interessi economici dell’umanità - spesso a discapito della salute del mare - si punta a salvaguardare migliaia di specie e offrire una chance agli ecosistemi marini in estrema sofferenza.

La decisione, riassunta nel Trattato dell’alto mare, è frutto di una esigenza che scienziati, ambientalisti e parte della politica sottolineano da anni: serve maggiore protezione per le acque internazionali, quelle considerate “terra di nessuno” e che da ora in poi tutti dovremo imparare a proteggere.

Da accordi stipulati negli anni Ottanta infatti quella parte di mare fuori dalla zona economica esclusiva di un Paese, a circa 200 miglia al largo delle coste, è considerata acque internazionali, dove chiunque può pescare, fare ricerca, percorrere rotte marittime o esplorare le profondità anche con scopi commerciali. Una sorta di far west, un’area dove agiscono soprattutto le grandi “potenze” della pesca, dalla Cina a Taipei passando per Giappone e Spagna, e territorio di nessuno in cui navigano tutti.

Questa area che rappresenta però quasi metà della superficie di tutta la Terra (il 45%) e quasi due terzi tutto l’oceano, a causa delle attività dell’uomo decennio dopo decennio è sempre più sofferente: qui vivono migliaia di animali marini oggi in estrema difficoltà, dato che lo Iucn stima che quasi il 15% delle specie marine è a rischio estinzione.

Finora è mancata la volontà di prendersi cura di dell’immenso e infinito grande blu che ci circonda, quello che ci permette di avere l’ossigeno per respirare, oppure che assorbe il 90% del calore in eccesso prodotto dalle attività antropiche evitando che finisca in atmosfera.

Il dato è impressionante: di tutta questa gigantesca zona blu, solo l’1,2% oggi è protetto, una percentuale che tra crisi climatica, surriscaldamento degli oceani, inquinamento da plastica, sovrapesca e traffico navale è assolutamente insufficiente a preservare la vita nel mare.

Non solo: negli ultimi anni sono aumentate le operazioni di deep mining, esplorazioni a oltre 200 metri alla ricerca di minerali in profondità, così come quelle relative alle risorse genetiche marine, oggi utilizzate in vari campi dalla farmaceutica sino alla cosmesi e il cibo. Tutte queste operazioni in alto mare finora erano solo parzialmente limitate e sviluppate soprattutto dai Paesi più ricchi e in grado di sfruttare tecnologie avanzate. Il nuovo Trattato, aumenterà la vigilanza, i controlli e le norme anche su questo delicato passaggio, ma anche l’equità relativa alle risorse del mare.

Scopo del Trattato, che per ora è un accordo raggiunto da più stati ma che è ancora lontano dal diventare esecutivo, e per cui verrà creata una Cop (Conferenza delle parti) dedicata per negoziazioni e decisioni, sarà in generale quello di aumentare il numero delle aree protette in acque internazionali, salvaguardandole con limiti alla pesca, al traffico marittimo, le esplorazioni in profondità, per esempio.

L’accordo è stato festeggiato sia dalle associazioni ambientaliste, con Greenpeace e Wwf che parlano di intesa storica, sia dai leader politici, dall’Europa che ha messo sul tavolo 40 milioni di dollari per l’attuazione del piano, sino all’Italia che con il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha parlato di una intesa chiave anche per la protezione del Mediterraneo.

Come ha spiegato Francesca Santoro, oceanografa dello Ioc-Unesco, si tratta di un «avvenimento storico, ora serve subito la ratifica e continuare il lavoro di ricerca oceanografica». L’intesa infatti dovrà essere a breve ratificata dai Governi degli Stati membri e sarà fondamentale capire anche con quali strumenti l’Onu vigilerà sul trattato e spingerà per la nascita, praticamente in soli sette anni, del 30% di aree marine protette.

«L’approvazione del Trattato per l’alto mare è un avvenimento storico - chiosa Santoro - le aree fuori dalla giurisdizione nazionale, che occupano circa il 50% della superficie del nostro Pianeta, saranno ora tutelate e sarà così possibile rispettare quanto deciso a Montreal alla Cop15 dalla Convenzione sulla Diversità Biologica, ovvero istituire aree protette per almeno il 30% della superficie del Pianeta entro il 2030. Ora c’è bisogno dell’impegno di tutti affinché questo trattato venga ratificato e implementato e per noi, come promotori del Decennio del Mare, diventa ancora più forte la spinta a sostenere la ricerca oceanografica in modo che siano i dati e risultati delle ricerche a essere la base di tutte le decisioni importanti che dovremo prendere nei prossimi anni, per passare dall’oceano che abbiamo all’oceano che vogliamo».

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