Ambiente

Il grande rifiuto: Usa, Russia e Canada VS fauna marina

Il Trattato per la protezione dell’Alto Mare non ha superato il quinto e ultimo round di negoziazioni all’Onu. Alcuni grandissimi insospettabili si sono messi di traverso
Guido Villani, Watersurface, Procida 2022
Guido Villani, Watersurface, Procida 2022
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6 settembre 2022 Aggiornato alle 11:00

L’ecosistema marino continua a rimanere senza una protezione complessiva a livello globale. Questo è il risultato del mancato accordo all’ultimo round - il quinto - delle negoziazioni iniziate il 15 agosto presso le Nazioni Unite, dove per due settimane si è discusso del nuovo Trattato per la protezione dell’Alto Mare (UN High Seas Treaty). Al momento attuale solo l’1% dei territori marini al di fuori delle acque territoriali sono protetti, mentre l’obiettivo minimo globale prevede di arrivare a tutelarne almeno il 30% entro il 2030.

La battaglia per raggiungere tale obiettivo è in corso da più di 15 anni e avrebbe come scopo la sostituzione del precedente trattato, ormai obsoleto, siglato nel 1982. Nella prima parte dell’anno si era svolto il quarto round delle trattative, dopo che per ben 4 anni gli incontri erano stati rimandati, anche a causa della pandemia, nonostante l’enorme importanza della questione: «Indifferentemente da dove vivete, l’Alto Mare sta contribuendo all’ossigeno che respirate ed è uno dei regolatori climatici del Pianeta. L’oceano assorbe le nostre emissioni carboniche e sta rendendo davvero la nostra esistenza possibile sulla Terra, mentre fornisce cibo a miliardi di persone», ha ricordato Peggy Kalas, coordinatrice della High Seas Alliance, una coalizione di più di 40 gruppi ambientalisti.

Gli scopi del nuovo accordo sono focalizzati principalmente su 4 punti chiave, che prevedono la creazione di estese aree marine protette, il miglioramento delle analisi sull’impatto ambientale del nostro modello di sviluppo, il finanziamento di progetti nelle nazioni in via di sviluppo e la condivisione di materiale genetico dell’ambiente marino, quali piante e animali, che possa fornire benefici alla società attuale.

L’urgenza di misure simili è dettata dalla rapida degradazione dei mari e degli oceani, dove una recente ricerca finanziata dalla National Oceanic and Atmospheric Administration evidenzia che fra il 10 e il 15% delle specie marine sono già a rischio estinzione a causa della crisi climatica in peggioramento. Infatti il 90% del riscaldamento globale sta avvenendo all’interno degli oceani, con un continuo aumento delle temperature e dell’acidificazione.

Il fallimento del quinto round è dovuto ai continui ritardi e ostruzioni promossi da vari Stati, nonostante il tentativo di alcuni gruppi, come le Isole del Pacifico e quello dei Caraibi, di trovare un accordo definitivo. La nazioni del Nord del mondo hanno solo negoziato negli ultimi giorni, mentre Paesi come Usa, Canada e Russia hanno paralizzato qualsiasi accordo vincolante.

Di fronte a questo stallo, la consulente strategica Sofia Tsenikli della High Seas Alliance ha diramato una nota di biasimo: «Siamo contrariati dal fatto che i governi al meeting dell’Onu non abbiano approvato il Trattato dell’Alto Mare entro la fine di questa settimana. Tuttavia, è stato stimolante assistere allo slancio globale per l’azione a favore degli oceani costruita costantemente durante questi negoziati. Le varie comunità del mondo stanno chiedendo un’azione decisiva per proteggere la vita marina e salvaguardare il ruolo vitale che gli oceani hanno per il clima, la sicurezza alimentare globale e soprattutto la salute del nostro Pianeta. Gli Stati ora devono trarre profitto dai progressi compiuti e mantenere le promesse per un ambizioso Trattato per la fine del 2022».

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