Diritti

Divorzio: la Turchia viola i diritti delle donne

La Corte di Strasburgo condanna Ankara per una legge che impone alle donne divorziate di attendere 300 giorni prima di risposarsi. Una regola che purtroppo conferma il modello patriarcale promosso da Erdoğan
Credit: David Monje 
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3 luglio 2023 Aggiornato alle 08:00

La Corte europea dei diritti dell’uomo denuncia la violazione dei diritti delle donne in Turchia. Con una sentenza, infatti, ha condannato Ankara per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare e quello a non essere discriminata di una cittadina turca. L’articolo incriminato è il numero 132 del codice civile, che impone alle donne divorziate di attendere 300 giorni prima di risposarsi, a meno che non dimostrino di non essere incinte sottoponendosi a una visita medica.

Per la Corte si tratta di una “legge discriminatoria e ingiustificata”. Vincolare le donne all’interno del matrimonio è però un obiettivo di cui il governo turco si occupa da tempo. Quando nel 2021 la Turchia decise di abbandonare la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, tra le motivazioni addotte il presidente Recep Tayyip Erdoğan aveva sostenuto che il provvedimento minasse l’unità familiare, incoraggiando il divorzio.

In Turchia le donne subiscono sistematicamente discriminazioni dentro e fuori il nucleo familiare, ma ora la Corte di Strasburgo riconosce che alcune leggi sono responsabili di perpetuare questo modello. «Subordinare la possibilità di una donna divorziata di risposarsi, senza rispettare il periodo di attesa, alla produzione di certificato medico che attesti che non è incinta equivale a violare la sua intimità e a porre la sua vita privata, compresa quella sessuale, sotto il controllo delle autorità», hanno dichiarato i giudici europei.

La normativa, secondo la Corte, risulta obsoleta anche sul piano medico, dal momento che esistono test di paternità e altre vie legali per determinare lo stato di gravidanza di una donna al di là della visita presso uno specialista.

In Turchia la violenza domestica da parte dei mariti nei confronti delle mogli rimane una piaga, e come dimostrano le segnalazioni raccolte dall’associazione turca in difesa dei diritti delle donne We Will Stop Femicide (Wwsf), negli ultimi anni i timidi passi avanti che il Paese ha compiuto verso l’emancipazione femminile sono stati in buona parte cancellati.

Durante il primo decennio al potere di Erdoğan, le attiviste per i diritti delle donne hanno ottenuto alcuni importanti riconoscimenti, in parte grazie alle pressioni della società civile e in parte per soddisfare i requisiti per l’adesione all’Unione europea. Nuove leggi hanno introdotto l’uguaglianza matrimoniale, criminalizzato lo stupro coniugale e innalzato l’età legale del matrimonio a 18 anni. Ai datori di lavoro è stato impedito di licenziare donne incinte e il governo ha offerto un maggiore sostegno finanziario alle madri che lavorano.

Tuttavia, la retorica promossa dal partito al governo nel tempo è rimasta sempre la stessa: le donne sono indicate principalmente come madri e casalinghe, e il matrimonio è lo spazio dove gli uomini possono esercitare il loro controllo su di esse.

Se di recente l’accesso all’aborto è diventato sempre più difficile, il numero di femminicidi e di morti sospette di donne nel Paese è costantemente aumentato, fino a raggiungere le 579 vittime nel 2022. Lo riporta Wwsf, accusata dal governo di essere contro la morale, poiché le sue azioni minaccerebbero la struttura familiare tradizionale e sconvolgerebbero il concetto di famiglia.

Secondo Emma Sinclair-Webb, direttrice associata della divisione Europa e Asia centrale di Human Rights Watch, il problema della violenza di genere dilagante nel Paese coincide con quanto riconosciuto anche dalla Corte europea dei diritti umani nella sua ultima sentenza, ovvero che «l’approccio del governo alla lotta alla violenza contro le donne è inquadrato in termini paternalistici e conservatori». Intanto, leggi retrograde e l’incapacità dello Stato turco di fornire una protezione efficace dalla violenza domestica costano la vita a centinaia di donne.

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