Diritti

Le “finte” femministe in Turchia

Il Paese guidato da Erdoğan finanzia Ong che all’apparenza si battono per i diritti delle donne, ma contrastano le femministe locali. La ricerca su Open Democracy
Secondo la piattaforma "We'll Stop Femicide", nel 2021 in Turchia sono state uccise 417 donne a causa della violenza di genere e centinaia sono state aggredite da uomini
Secondo la piattaforma "We'll Stop Femicide", nel 2021 in Turchia sono state uccise 417 donne a causa della violenza di genere e centinaia sono state aggredite da uomini Credit: EPA/SEDAT SUNA
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
26 maggio 2022 Aggiornato alle 07:00

Negli ultimi tre anni Anna Ehrhart ha studiato le organizzazioni femminili controllate dal governo in Turchia che minacciano i gruppi femministi del Paese.

Il presidente Recep Tayyip Erdoğan avrebbe una strategia, che porta avanti dall’inizio della sua presidenza, nel 2014: finanziare le cosiddette “donne Gongo” per imitare e indebolire chi lotta davvero per i diritti delle donne turche. La ricerca che lo dimostra, pubblicata sul sito di discussione politica internazionale e culturale openDemocracy, si basa su interviste e incontri con più di 20 organizzazioni femministe in tutta la Turchia.

Che cosa vuol dire “Gongo”? Si tratta delle Organizzazioni Non Governative sponsorizzate dal Governo. In Turchia si tratta di Kadem e dell’Associazione Hazar, istituite a partire dal 2013, quando Erdoğan era ancora (solo) primo ministro.

La vicepresidente di Kadem, l’Associazione Donne e Democrazia, è la figlia del presidente, Sümeyye Erdoğan: sulla carta vuole garantire i diritti delle donne all’interno della famiglia e della società. Questa centralità della famiglia rifiuta, secondo Ehrhart, l’uguaglianza tra uomini e donne. Insomma, questi gruppi sono solo all’apparenza difensori dell’emancipazione femminile.

Quello delle Gongo è un fenomeno sempre più comune, diffuso soprattutto nei regimi autoritari e soprattutto in quelli ibridi, che l’organizzazione indipendente e senza scopo di lucro European Center for Populism Studies definisce come quelle nazioni con “regolari brogli elettorali, che impediscono loro di essere una democrazia equa e libera”.

Nel 2021 il settimanale d’informazione politico-economica Economist ha classificato 167 Paesi sulla base di cinque valori: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili. La Turchia è stata inserita tra i 34 regimi ibridi presenti al mondo, che riguardano il 17,2% della popolazione totale. Nella categoria troviamo anche Messico, Pakistan, Ucraina, Bolivia e Marocco.

Ehrhart spiega che si tratta di Paesi che confondono i confini tra le entità controllate dallo Stato e la società civile, e questo colpisce in particolare la fetta femminile della popolazione: “Tali regimi strumentalizzano i diritti delle donne per i loro scopi e le donne Gongo sono uno dei principali meccanismi che utilizzano per garantire legittimità e controllo interni ed esterni”, scrive la ricercatrice.

Lo scopo principale di questi gruppi sarebbe quello di rafforzare gli interessi e i discorsi conservatori, antifemministi e islamici all’interno della società civile e legittimare, così, la comprensione patriarcale del ruolo delle donne.

E, a poco a poco, le voci femministe indipendenti turche sono state sempre più allontanate dal dibattito pubblico e la loro capacità di intervento e di promozione dell’uguaglianza di genere è stata gravemente limitata. Alcuni gruppi, soprattutto nelle regioni curde in Turchia orientale, sono stati chiusi definitivamente.

Anche i fondi pubblici a loro destinati sono stati rilevati dalle organizzazioni delle donne Gongo. E quelli internazionali temono la legge del 2020 che permette al Ministero dell’Interno di ispezionare annualmente e sospendere qualsiasi attività delle Ong indagate per reati legati al terrorismo, comprese le fondazioni straniere: i tribunali turchi usano con molta leggerezza queste accuse di terrorismo per reprimere il dissenso.

I gruppi femministi, nel tempo, hanno dovuto cambiare le proprie strategie di mobilitazione e di advocacy, spostando l’attenzione su temi meno politicamente sensibili, ed essere così meno apertamente femministi, presentandosi come una semplice organizzazione della società civile.

Nonostante tutto, Ehrhart pensa che ci sia ancora speranza: ad aprile il Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Turchia, ha dichiarato illegale il tentativo di ritiro del Paese dalla Convenzione di Istanbul, il trattato sulla prevenzione della violenza contro le donne. Un segnale importante che non fa altro che dare più energia alle ong femministe, che continuano a ritagliarsi uno spazio per lottare. Anche in un ambiente sempre più ostile.

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