Ambiente

Ogni minuto scompaiono 11 campi da calcio di foreste pluviali tropicali

Nonostante proclami e accordi internazionali continua, dall’Amazzonia all’Africa, la distruzione dei nostri polmoni verdi. Per far posto a agricoltura intensiva ed estrazioni minerarie
Credit: Leo Correa/Ap Photo
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27 giugno 2023 Aggiornato alle 21:00

Visualizzate le dimensioni di un campo da calcio. Ora moltiplicatelo per undici. Adesso immaginate che nel minuto trascorso a crearvi nella mente questo spazio, quegli undici campi fatti di foreste pluviali primarie sono spariti. Puff, non ci sono più.

Ecco, è quanto accaduto nel 2022: ogni minuto dall’Amazzonia all’Africa l’equivalente di undici campi da calcio vengono distrutti, privandoci della fondamentale azione degli alberi che assorbono carbonio, sono casa di biodiversità e indice di salute del Pianeta.

La deforestazione nel mondo, ricorda oggi una interessante analisi su The Guardian, nonostante i grandi proclami non sta arretrando: lo scorso anno abbiamo perso un’area grande come la Svizzera fatta di foresta pluviale.

Se è vero che le prime stime dicono che con la guida di Lula in Brasile la deforestazione oggi inizia ad arretrare, è anche vero però che le tante promesse fatte (anche quelle della Cop27) finora dai precedenti governi non sono state mantenute: la necessità di ottenere profitti economici grazie a monoculture, allevamenti di bestiame, agricoltura intensiva e estrazione mineraria, sembrano sempre venire prima rispetto al dovere di preservare le foreste e lasciare intatti i territori di cui si prendono cura le comunità indigene.

Secondo i dati del World Resources Institute (WRI) e dell’University of Maryland nel 2022 i tropici hanno perso 4,1 milioni di ettari di foresta pluviale primaria, quasi il 10% in più rispetto al 2021. Eppure, quegli ettari, sono quelli che più di molti tasselli della transizione ecologica ed energetica ci aiutano a combattere le emissioni climalteranti. Al contrario invece il cambiamento di suolo e la distruzione dei boschi contribuiscono alle emissioni di gas a effetto serra e dopo la combustione dei prodotti di origine fossile sono considerati i primi fenomeni tra i più impattanti per emissioni e perdita di biodiversità.

Da soli, questi dati, ci fanno ben comprendere che non siamo sulla buona strada degli obiettivi climatici se continuiamo a deforestare: nel 2021 alla Cop26 oltre 100 leader mondiali (fra cui quelli di Cina, Usa e Giappone) avevano firmato per invertire la deforestazione entro il 2030 con impegni sul 90% delle foreste mondiali, ma queste promesse non sono in linea per essere mantenute.

Proprio il Brasile, insieme alla Repubblica Democratica del Congo e la Bolivia (terra di litio ed estrazioni minerarie che non aveva firmato l’accordo), oggi è in testa alla classifica della perdita di foreste primarie tropicali nel 2022. Se invece si guarda alla percentuale di aumento più grande di perdita di foreste, anche se su dimensioni diverse perché più piccole, peggio ha fatto il Ghana, Stato dove regnano i produttori di cacao per cioccolato.

Per proteggerci, proteggendo le foreste, serve dunque un cambio di rotta netto.

Come chiosa Inger Andersen delle Nazioni Unite «le foreste sono fondamentali per il nostro benessere e per il benessere del pianeta Terra. Porre fine alla deforestazione e arrestare la perdita di copertura forestale sono ingredienti essenziali per accelerare l’azione per il clima, costruire la resilienza e ridurre perdite e danni. Dobbiamo fissare un prezzo più alto per il carbonio forestale, che rifletta il vero valore delle foreste, che rifletta il costo effettivo delle emissioni e che sia sufficiente per incentivare a proteggere le foreste. Si tratta di proteggere la biodiversità; proteggere i mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali e sostenere il ciclo idrologico per stabilizzare i modelli meteorologici e proteggerci da frane, erosione del suolo e inondazioni. Semplicemente non possiamo permetterci di perdere altra copertura forestale».

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