Economia

Almalaurea: sempre più giovani lasciano il Sud

Più del 75% degli studenti trova lavoro a 1 anno dalla laurea, ma il Mezzogiorno rimane indietro: si preferisce il Nord Italia, dove gli stipendi registrano +100 euro netti rispetto al Meridione
Credit: Charlotte May
Tempo di lettura 4 min lettura
20 giugno 2023 Aggiornato alle 12:00

Appare agrodolce lo scenario fotografato dal XXV Rapporto AlmaLaurea riguardo il profilo e la condizione occupazionale dei laureati, realizzato con cadenza annuale dal 1998 dal Consorzio interuniversitario Almalaurea con l’obiettivo di restituire un quadro fedele del concreto inserimento dei laureati italiani nel mercato del lavoro. Su circa 670.000 laureati di primo e secondo livello coinvolti, appartenenti a 78 atenei, più della metà si è laureata nei tempi previsti dal rispettivo corso di studi, con la stragrande maggioranza che si ritiene soddisfatta dell’esperienza universitaria e si dichiara pronta ad affrontarla di nuovo.

Buone notizie anche per i tassi occupazionali, dato che a un anno dal conseguimento della laurea riescono a trovare lavoro sia il 75,4% dei laureati triennali che il 77,1% dei magistrali, anche se le percentuali aumentano estendendo il periodo oggetto di studio a 5 anni dalla fine del percorso universitario. A confermare il progressivo miglioramento del mercato del lavoro spicca anche la quota di contratti a tempo indeterminato, che segna un +4,6% per i laureati di primo livello e +3,9% per quelli di secondo rispetto alla rilevazione del 2021. Per completare l’elenco degli elementi più incoraggianti, si abbassa l’età media dei neolaureati a 25,6 anni. Allo stesso tempo, viene registrato un miglioramento del voto di mezzo punto rispetto al 2021.

Un quadro di questo tipo potrebbe rappresentare una boccata d’aria per il sistema universitario italiano, da tempo fanalino di coda tra i Paesi Ue per la quota di laureati, secondo i dati diffusi da Eurostat (poco più del 29%). Vero se non fosse che gran parte dei rialzi statistici positivi debbano scontrarsi con alcuni rilevanti storture. Prima fra tutte l’inarrestabile questione della fuga di cervelli, non solo all’estero ma anche dal Sud Italia verso le Regioni settentrionali. Dopo lo stop ai trasporti dovuto alla pandemia, oltre che a un sempre più massiccio utilizzo dei corsi a distanza, la tendenza degli spostamenti verso il Nord per motivi di studio e, presumibilmente, anche di futuro impiego ritornano a salire del 28,6% (in netto rialzo rispetto al 23,2% di 10 anni fa). Il divario retributivo si fa sempre più ampio: le buste paga di chi lavora al Nord sono più pesanti di almeno 100 euro netti rispetto ai lavoratori del Sud.

Il dato fa il paio con la mobilità per la ricerca di lavoro, che arriva a quasi il 50% fra i laureati magistrali, ma si scontra con la sempre più opprimente insoddisfazione riguardo il costo degli alloggi. Un problema che coinvolge chi decide di lasciare la propria terra per raggiungere le grandi città e affidarsi a strutture universitarie storiche e maggiormente qualificate, ma che negli ultimi mesi ha lasciato poche risposte ai tanti studenti che hanno deciso di protestare piantando una tenda davanti gli atenei di tutta Italia.

A pesare sulla situazione lavorativa c’è anche l’inflazione, che con l’aumentare generalizzato dei prezzi (partendo soprattutto dal carrello della spesa) erode del 4-5% il potere di acquisto dei lavoratori neo-laureati, la cui retribuzione mensile si aggira mediamente sui 1.332 euro per i laureati di primo livello e 1.366 per quelli di secondo, con una crescita di circa 300 euro dopo 5 anni dal titolo.

Il valore reale dello stipendio subisce le conseguenze del divario di genere, creando così la condizione (o meglio, il paradosso) di avere la maggioranza di laureate (59,7%) che guadagna quasi 100 euro in meno dei laureati maschi, che beneficiano anche di una migliore collocazione lavorativa (11,7% di probabilità in più di trovare lavoro rispetto alle donne).

Le differenze territoriali, sia in termini di ripartizione geografica che di residenza, aumentano il divario occupazionale portando ai residenti al Nord una speranza di trovare occupazione maggiore del 32,1% rispetto a chi vive nel Mezzogiorno, ma non bisogna trascurare l’importante indicatore della famiglia d’origine. Dal rapporto emerge infatti che i laureati provenienti da famiglie in cui almeno un genitore è laureato ha minore probabilità di occupazione rispetto a chi ha genitori con titolo di studio non universitario. L’ipotesi avanzata da Almalaurea si basa sul fatto che il contesto familiare più agiato di chi ha un genitore già laureato permetta ai neolaureati di “posticipare l’entrata nel mercato del lavoro, in attesa di una migliore collocazione”.

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