Economia

Caro affitti: l’Università non è più per tuttə

Prezzi alle stelle e appartamenti fatiscenti: alcunə studenti hanno raccontato a La Svolta perché le città universitarie italiane sono sempre più escludenti. Ma le idee per cambiare ci sono
Credit: DWA Studio
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14 novembre 2022 Aggiornato alle 13:00

Con i prezzi degli affitti in aumento anche del 40% rispetto a un anno fa, studiare nelle principali città universitarie italiane sta diventando soprattutto una questione di classe. Da Milano a Roma, passando per Bologna, l’università non è più per tutti. Chi non riesce a permettersi una stanza, rinuncia a studiare lontano da casa: per gli studenti e le studentesse, il diritto all’abitare è ormai diritto allo studio. Così, per sopravvivere in città vissute come sempre più escludenti, i ragazzi provano a elaborare nuove forme abitative.

Dopo la fine della pandemia e della didattica a distanza, la domanda di stanze in affitto è esplosa, toccando +45% per le singole e un +41% per le doppie rispetto al 2021. La crescita della richiesta è stata accompagnata da un rialzo dei prezzi di locazione, in aumento in tutte le principali città universitarie. Come racconta a La Svolta Arianna, studentessa fuori sede all’università Roma Tre, «è come se le città non fossero più adatte a ospitare gli studenti». «Rispetto a due anni fa la situazione è tragica: ci sono poche case e quelle disponibili sono fatiscenti, alcune con le cimici, per una media di 600 euro al mese».

Matilde viene dalla Valle d’Aosta e studia alla Statale di Milano. Come Arianna, sente che le città universitarie stanno diventando realtà sempre più «escludenti». «Abitavo in una piccola stanza in una zona periferica di Milano. A maggio ho ricevuto una lettera dal mio proprietario di casa dove mi annunciava che, da 420 euro, l’affitto sarebbe aumentato a 750», dice a La Svolta. Matilde è riuscita a trovare un posto in un alloggio riservato agli studenti con basso reddito, dopo essere stata esclusa dalle residenze universitarie perché non al passo con gli esami. «Fa male vedere che c’è chi deve rinunciare a studiare per ragioni economiche e di merito legato al numero di crediti conseguiti. È assurdo. Gli uffici dell’università dicono che non ci sono né spazi, né fondi e che l’università non è per tutti. Ma il diritto allo studio è per tutti e tutte».

Anche a Bologna, come Roma e Milano, il diritto allo studio si intreccia con il diritto all’abitare. La turistificazione degli spazi ha trasformato la città e ridotto le possibilità per gli studenti fuori sede di trovare una casa. «I proprietari preferiscono trasformare gli appartamenti in Airbnb perché portano più guadagni rispetto ad affittare agli studenti», spiega Antonio, che studia all’università di Bologna dal 2018. Come altri, sta pensando di lasciare la sua stanza doppia perché il proprietario ha deciso di chiudere il contratto e alzare l’affitto. «C’è poca disponibilità di case e è un ricatto, perché molte sono in condizioni indecenti. Gli studenti sono abituati ad accontentarsi, a fare dei sacrifici in più. In camera non avevo neanche l’armadio, ho dovuto comprarlo io. In alcuni annunci ho visto case con sei persone con un solo bagno, o stanze da letto senza finestre». Antonio ha vinto una borsa di studio, ma «non basta per vivere a Bologna». «I miei genitori devono comunque pagarmi l’affitto. E non è scontato che questo possa accadere in tutte le famiglie. Rimango qua solo perché ormai sono al primo anno di magistrale. Ma l’università di Bologna sta diventando un’università per ricchi».

Bologna, però, è anche la città in cui si sperimentano soluzioni. Casa Vacante di via Capo di Lucca, un immobile pubblico abbandonato e occupato da più di un mese da studenti e lavoratori, vuole essere il laboratorio dove si studiano nuove forme dell’abitare che possano essere valide non solo per Bologna. Come spiega a La Svolta Luca Tonini, che fa parte del gruppo di ragazzi e ragazze che sono nello stabile: «Studenti e lavoratori hanno il diritto di vivere questa città».

L’obiettivo di Casa Vacante è avviare una riflessione partecipata sul patrimonio pubblico sfitto che, per gli abitanti di via Capo di Lucca deve poter essere rigenerato per dare soluzioni abitative concrete, guardando anche alle strategie adottate da città come Barcellona e Toronto.

«Il nostro è un hub dei saperi: ci sono compagni che stanno lavorando a come efficientare energeticamente una delle stanze dell’immobile. Altri hanno studiato le proposte che ci sono in giro per il mondo sul patrimonio pubblico fuori mercato. Questo perché non vogliamo confinarci dentro le mura della Casa Vacante», aggiunge. Di fronte a una città che seleziona i suoi abitanti, quello di via Capo di Lucca è un tentativo di riappropriarsi di spazi e diritti. «Il nostro è un tema politico», dice Tonini. «Casa Vacante rappresenta il diritto di restare, di rimanere a Bologna. Al di là delle logiche legate al profitto e al mercato».

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