Ambiente

Batterie elettriche, abbiamo un problema

Diverse Ong hanno messo sotto accusa la joint venture ReSource, che si occupa di certificare le fonti di provenienza dei minerali e i dettagli sul loro impatto ambientale. Ti spieghiamo perché
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10 maggio 2023 Aggiornato alle 16:00

Nei prossimi anni la domanda globale di minerali per garantire la transizione elettrica è destinata a conoscere una forte crescita, specialmente con i numerosi piani industriali che prevedono una rapida dismissione dei motori termici a favore delle auto elettriche. La nuova corsa per trovare e sfruttare i giacimenti di rame, nichel, cobalto, litio e terre rare, sta suscitando allo stesso tempo profonde preoccupazioni negli attivisti e in diversi funzionari statali, che accusano le multinazionali di nascondere i danni ambientali e le violazioni dei diritti umani.

Le ultime accuse sono state mosse a ReSource, una joint venture annunciata a gennaio durante il World Economic Forum, che ha il compito di fornire le certificazioni delle batterie elettriche, una sorta di passaporto che garantisce le fonti di provenienza dei minerali e i dettagli sul loro impatto ambientale. Una misura che è stata imposta dall’Unione europea per tutte le batterie vendute in Europa, a partire dal 2027, e dagli Stati Uniti per i produttori che vogliono beneficiare di determinate agevolazioni fiscali, a seguito degli scandali che hanno coinvolto le catene di approvvigionamento situate in nazioni come la Repubblica Democratica del Congo.

La joint venture ReSource ha avviato una serie di collaborazioni con alcune delle maggiori società impegnate nell’elettrificazione, fra cui Tesla, LG Energy Solution, Samsung SDI, e ha tra i fondatori le compagnie minerarie Eurasian Resources Group (Erg) e Glencore. Proprio la presenza di quest’ultime ha spinto gli attivisti a denunciare il fatto che le certificazioni sono un affare interno alle compagnie minerarie perché non vengono sottoposte a controlli da parte di un ente esterno.

Secondo Yimin Yi, responsabile della governance delle risorse naturali per la Ong Global Witness, ci sono «ragioni per dubitare che si tratti di un tentativo serio di regolamentare il settore o piuttosto di un tentativo da parte delle società coinvolte di evitare la regolamentazione del Governo. Di volta in volta, quando si è fatto affidamento sulle industrie per autoregolamentarsi, non sorprende che spesso sia stato inefficace, nel peggiore dei casi una carta per uscire di prigione per cattive pratiche. Non dovrebbe davvero sorprendere il fatto che quando le aziende votano i propri compiti, tendono a diventare perfette; abbiamo bisogno di una regolamentazione governativa adeguata e dotata di risorse adeguate per tenere conto delle aziende».

Ulteriori preoccupazioni sorgono a causa di una filiale della Erg, la Eurasian Natural Resources Corporation (Enrc), che dal 2013 è sotto investigazione da parte del Serious Fraud Office del Regno Unito per una serie di pratiche fraudolente e corruttive nell’acquisizione di alcuni asset minerari. «È difficile vedere come Erg possa fornire una leadership adeguata per un approvvigionamento responsabile dei materiali delle batterie quando la sua controllata si trova ad affrontare un’indagine di corruzione nel Regno Unito e ha intrapreso numerose azioni legali in stile “slapp” (Ndr: azione legale strategica contro la partecipazione pubblica) contro coloro che controllano le sue attività», ha affermato il direttore esecutivo Anneke Van Woudenberg di Rights and Accountability in Development, un ente di beneficenza inglese.

Accuse negate dalla società sotto esame, i cui studi legali hanno dichiarato pubblicamente che «non accetta la descrizione delle sue azioni legali come “slapp” e che i tribunali hanno trovato delle evidenze favorevoli in alcuni dei suoi reclami».

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