Diritti

L’insegnamento del colibrì sulla normativa anti-Lgbt

In Uganda, il codice penale condanna con l’ergastolo tre fattispecie di reato definite “crimini contro natura”. Ma che cosa significa questa espressione?
Credit: Dulcey Lima
Tempo di lettura 4 min lettura
28 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

Mentre in Uganda prosegue il controverso iter della normativa anti-Lgbt ho deciso di esaminare gli atti parlamentari ugandesi per vedere quale fosse lo stato della normativa ancor prima che il disegno di legge in parola iniziasse il suo iter.

La Sezione 145 del codice penale ugandese condanna con l’ergastolo tre fattispecie di reato definite “crimini contro natura”: rapporti carnali contro l’ordine della natura, rapporti carnali con animali, rapporti carnali con persone anche di sesso diverso contro l’ordine della natura.

Non interessa in questa sede soffermarsi su cosa il disegno di legge aggiunga rispetto a quanto già così stabilito dal codice penale ugandese o aggiornarsi sulle osservazioni che hanno condotto il Presidente Museveni a rimandare indietro il progetto di legge per un riesame perché non avrebbe considerato la possibilità di riabilitazione (quasi che l’omosessualità sia una malattia), ma esaminare il termine “contro l’ordine della natura” che caratterizza l’esistente normativa in tema di rapporti sessuali diversi da quelli considerati “canonici”.

L’espressione, che si basa su un dogma per cui in natura il ciclo delle azioni scorre secondo il disegno originale del Creatore, dipenderebbe dunque da una legge divina che gli esseri umani “probi” fanno rispettare, punendo i colpevoli. La considerazione non è superflua, dal momento che molti ritengono che la legislazione anti-Lgbt ugandese sia molto influenzata da vari credi religiosi.

Sul punto, a parte la considerazione che non comprendo fin da bambino del perché il Creatore abbia bisogno di noi per fare giustizia della violazione della propria legge, preferisco condurti in un altro continente, quello americano, per raccontarti di un fenomeno che degli etologi stanno osservando in alcune popolazioni di colibrì (nel caso di specie i “Jacobin dal collare bianco”).

Sì, i colibrì, minuscoli uccelli poco più grandi di molto insetti che affascinano l’immaginario degli uomini - basti ricordare il film Il curioso caso di Benjamin Button, dove il battito delle ali del colibrì a forma di un 8 trasversale, che simboleggia l’eterno fluire delle cose, chiude la rappresentazione.

Ebbene, gli etologi stanno osservando che circa il 20% delle femmine di questa specie (normalmente caratterizzata da dimorfismo sessuale, ovvero una netta differenziazione estetica tra femmine e maschi), assume la colorazione dei maschi: la ragione sembra essere che, mimetizzandosi da maschi, sia meno esposta all’aggressività dei partner.

Fin qui nulla di particolarmente rilevante, se non pensassi all’Uganda, alle sue leggi sui crimini contro l’ordine della natura (ma l’Uganda non è il solo Paese che prevede tale tipo di reato con pene assai severe) e non mi ponessi la domanda di come questi colibrì possano riprodursi laddove i maschi non sono in grado di individuare le femmine e quindi tentare di accoppiarsi.

Secondo gli etologi, il problema non si pone, perché i colibrì, come molte altre specie animali (se ne contano almeno 15.000), praticano rapporti di carattere omosessuale e anche di accoppiamento con chi sembra loro simile; ciò consentirebbe alle femmine, “travestite da maschi”, di essere fecondate e riprodursi in ogni caso.

Non credo che occorra aggiungere altro nel rilevare come l’essere umano riferisca sempre al cosiddetto ordine naturale delle cose le proprie opinioni, ergendosi a metro e misura di tutte le cose, senza mai avere il rigore logico di osservare e rispettare, o quantomeno non ostacolare, quanto avviene in natura. Si tratti di umani o di animali.

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