Economia

Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi a Zalando e Zoom?

Sono colossi che hanno accumulato profitti per anni. E ora licenziano. Stiamo parlando di multinazionali e Big Tech. Se vuoi sapere quali, hai scelto la rubrica giusta
Credit: Tiger Lily. 
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21 aprile 2023 Aggiornato alle 11:00

Per grandi imprese del settore tech e multinazionali non è decisamente un buon momento: incertezza finanziaria e riduzioni significative degli investimenti hanno colpito le enormi aziende. Come accade per ogni crisi economica, a patire le vere conseguenze sulla propria pelle è però il mondo del lavoro: non bastano riduzioni di capitale sociale e ricorso a sovraindebitamento per salvare i titoli sui mercati, spesso sospesi per eccessivo ribasso. Bisogna licenziare, tagliare le posizioni ormai superflue.

Nel macro-mondo delle imprese il cui business si svolge prevalentemente online, non possiamo non includere tutte le piattaforme di e-commerce. Parliamo di realtà che, attraverso la rete, realizzano dei mercati in cui l’incontro tra domanda e offerta di miliardi di prodotti avviene in maniera esclusivamente digitale, sostituendosi quasi interamente alla compravendita nei negozi fisici.

Un modello di questo tipo ha raggiunto il picco massimo durante le fasi più complesse della pandemia, quando la quasi totalità della popolazione rinchiusa fra le 4 mura della propria abitazione si è trovata costretta a fare acquisti da computer, facendo salire di ben 10 punti percentuali il commercio online nella maggior parte di categorie di prodotti (elettronica, istruzione, cosmetici). La pandemia ha quindi consolidato nuove abitudini di acquisto, che già da diversi anni serpeggiavano fra i consumatori attratti dalla facilità e dalla velocità dell’e-commerce, colpendo in maniera non indifferente gli esercenti dei negozi fisici, soprattutto quelli storici e più piccoli.

Ma le cose cambiano, e perfino i bilanci d’oro delle Big Tech del commercio online ha subito contraccolpi con il lento ma sostenuto cambio di passo della pandemia. Dopo i corposi licenziamenti annunciati da Amazon (18.000 posti di lavoro), anche Zalando, piattaforma tedesca specializzata nella vendita online di scarpe, vestiti e accessori di moda, ha annunciato una drastica riorganizzazione del personale.

I 2 Ceo, Robert Gentz e David Schneider, hanno infatti comunicato al personale che dovranno essere «eliminate centinaia di posizioni in molti team» che compongono l’impresa, senza però indicare la quantità precisa dei futuri licenziamenti, anche se non saranno interessati i dipendenti dei centri logistici, servizio clienti e dei punti vendita.

Con un fatturato sceso dell’1,5%, duramente segnato dall’inflazione portata dall’aumento dei costi dopo la guerra in Ucraina, e soprattutto un deciso calo della presenza online da parte dei consumatori, l’azienda subisce l’espansione repentina del proprio organico, cresciuto da 14.200 a 17.000 unità tra il 2020 e il 2021: «un grado di complessità organizzativa» capace da influire negativamente sulla «capacità di agire rapidamente».

Ha una motivazione simile la decisione di un altro importante competitor del settore e-commerce, Ebay, di licenziare 500 dipendenti a livello globale, pari al 4% della sua forza lavoro totale. “Questo cambiamento ci dà ulteriore spazio per investire e creare nuovi ruoli in aree ad alto potenziale: nuove tecnologie, innovazioni per i clienti e mercati chiave” spiega Jamie Iannone, amministratore delegato del sito, in un messaggio rivolto ai dipendenti licenziati.

Le intense ristrutturazioni aziendali rinvigoriscono i mercati con una nuova fiducia per le grandi aziende tech quotate: sono pronti, infatti, a scommettere sulla loro ripartenza, anche se dimagrita di migliaia di dipendenti.

È il caso di Zoom, società californiana attiva nelle telecomunicazioni e specializzata principalmente in videoconferenze a distanza e chat online. Nata nel 2011, la sua popolarità è aumentata esponenzialmente proprio nel 2020, permettendo a scuole e università di garantire le lezioni trasformando affollate videochiamate in aule universitarie digitali, oltre a diventare uno strumento fondamentale per le conferenze e le comunicazioni aziendali nel mondo del lavoro.

Lezioni e incontri in streaming sono diventati rapidamente il nostro pane quotidiano, e l’azienda ha letteralmente spiccato il volo in borsa, passando in un solo anno dalla quotazione alla Nasdaq da 36 dollari a 559 per ciascuna azione nel 2020.

A distanza di qualche anno, dopo il ritorno in massa nelle classi e negli uffici, il ricorso alle videoconferenze a distanza è diventato sempre più sporadico, oltre che mal tollerato dai precedenti utilizzatori, con drammatiche conseguenze sul valore del titolo.

Ecco perché, come da prassi, in una nota rivolta ai dipendenti il Ceo e fondatore della piattaforma Eric Yuan ha comunicato l’intenzione di tagliare il 15% del personale, circa 1.300 dipendenti sparsi in ogni ramo organizzativo della società. Tutta colpa dell’“incertezza dell’economia globale” ma soprattutto degli “errori” di valutazione riguardo la rapidità con cui Zoom ha assunto personale nei 2 anni precedenti.

Spinto da una irrefrenabile domanda di servizi digitali e chat online di gruppo «non abbiamo impiegato tutto il tempo che avremmo dovuto per analizzare a fondo i nostri team o valutare se stavamo crescendo in modo sostenibile, verso le massime priorità» spiega Yuan che, oltre a garantire fino a 16 settimane di stipendio e copertura sanitaria per tutti i lavoratori licenziati, annuncia che il prossimo anno il suo stipendio sarà ridotto del 98%, rinuncerà al suo bonus aziendale e tutti i membri del gruppo dirigente abbasseranno i loro compensi del 20%.

Che sia una seria ammissione di colpe o un tentativo di addolcire il dardo per i suoi ormai ex lavoratori, la decisione assunta dal board di Zoom ha rassicurato gli investitori, visto l’immediato aumento di quasi il 9% delle negoziazioni.

Ancora una volta si allunga la lista dei grandi nomi del settore tecnologico che scelgono di sfoltire il proprio organico per fare fronte all’aumento dei costi generalizzato e agli esiti infausti di scelte imprenditoriali poco ponderate, le cui vere conseguenze però si riversano comunque in capo ai lavoratori.

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