Ambiente

Raggiunti livelli record di CFC in 10 anni

Lo studio pubblicato da Nature Geoscience mostra come le quantità di 5 clorofluorocarburi (gas serra responsabili del buco dell’ozono) siano cresciute nell’atmosfera dal 2010 al 2020
Credit: D Koi
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6 aprile 2023 Aggiornato alle 11:00

Dovrebbero diminuire, ma nel 2020 hanno toccato livelli record: sono le emissioni di clorofluorocarburi, meglio conosciuti come CFC, un tipo di gas serra responsabile del buco dell’ozono. Nel 2010 il Protocollo di Montreal, dopo un lungo periodo di trattative a livello internazionale, ha chiesto la loro eliminazione, così da permettere allo strato protettivo della Terra di riprendersi entro il 2060.

I dati recenti, raccolti dai chimici atmosferici, mostrano però segnali preoccupanti: i livelli di 5 CFC (CFC-13, CFC-112a, CFC-113a, CFC-114a e CFC-115) nell’atmosfera hanno subito un rapido aumento dal 2010 al 2020, spiega lo studio pubblicato su Nature Geoscience.

Utilizzati a lungo nei processi industriali, questi gas serra hanno un potere climalterante superiore di circa 10.000 volte a quello della CO2. Le quantità individuate dagli scienziati, per il momento, non mettono a rischio il graduale processo di ripristino del buco dell’ozono, ha reso noto in una conferenza stampa online del 30 marzo Luke Western, chimico dell’University of Bristol, Regno Unito. Tuttavia, possono comunque essere dannose per il riscaldamento globale: equivalgono infatti alla produzione di anidride carbonica annuale di 10 milioni di auto o a quella di uno Stato come la Svizzera.

L’aumento di CFC potrebbe essere dovuto a diverse cause per gli scienziati: anche se non sono più impiegati come refrigeranti e per l’aerosol, possono persistere nell’atmosfera per centinaia di anni; inoltre, è probabile che alcuni impianti che realizzano le sostanze utilizzate come sostitute, come gli idrofluorocarburi (HFC), rilascino accidentalmente CFC-113, CFC-114 e CFC-115. Questi sottoprodotti indesiderati sono sconsigliati dal Protocollo di Montreal, ma non vietati.

«Se durante la produzione di composti di nuova generazione si producono gas a effetto serra e sostanze che danneggiano l’ozono, allora hanno un impatto indiretto sul clima e sullo strato di ozono», ha spiegato Isaac Vimont della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), tra gli autori dello studio.

Per i CFC-13 e CFC-112a non ci sono ipotesi certe. «Non dovrebbero attualmente essere utilizzati o prodotti», ha affermato Rona Thompson, scienziata atmosferica presso il Norwegian Institute for Air Research di Kjeller, che non è stata coinvolta nell’analisi. I CFC-112 potrebbero però essere utilizzati ancora come solventi o come materia prima chimica, spiegano gli scienziati. Per ottenere un riscontro riguardo questa tesi, si dovranno coinvolgere probabilmente degli ingegneri chimici.

Per i CFC-13, invece, «non abbiamo davvero idee», ha detto Martin Vollmer, chimico atmosferico degli Swiss Federal Laboratories for Materials Science and Technology di Dübendorf, uno degli autori dello studio. Le stazioni di monitoraggio sono troppo poche nel mondo, perciò accertarne la provenienza è molto complesso.

Il lavoro dei ricercatori è stato però premiato in passato, con il CFC-11. Dopo che sono stati rintracciati nella Cina orientale nel 2019, il Governo e le aziende hanno adottato provvedimenti per farne scendere i livelli. Per alcuni si è trattato anche di fortuna, visto che le stazioni attrezzate per le rilevazioni si trovavano in Corea del Sud e Giappone, cioè relativamente vicine alla fonte.

Secondo Andreas Engel, scienziato alla Goethe University di Francoforte in Germania, bisognerebbe ampliare la copertura delle analisi. Continenti come l’Africa e il Sud America non sono controllati e i loro produttori potrebbero continuare a impiegare i CFC in alcuni processi industriali.

Sarebbe inoltre il caso di indagare meglio il rapporto tra la sintesi dell’HFC e il rilascio di CFC, considerando che anche la produzione di acido ipofluoroso (HFO) può essere dannosa per l’atmosfera. Nei futuri negoziati internazionali si potranno discutere limiti o bandi anche a queste sostanze o proporre emendamenti al Protocollo di Montreal.

“Ciò che le rilevazioni dimostrano è che dobbiamo tenere gli occhi aperti – ha spiegato Engel nell’articolo pubblicato da Nature Geoscience - La storia non è finita”.

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