Culture

Se Dahl è una intellectual property

Pubblicare libri riscritti potrebbe essere parte di un’operazione commerciale, legata all’uscita di prodotti televisivi. Non a caso, la Roald Dahl Story company è stata acquistata da Netflix…
Credit: ataba.com.
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22 febbraio 2023 Aggiornato alle 10:00

La signora Sporcelli non è brutta. E Augustus Gloop, mica è grasso (semmai enorme). Gli Umpa Lumpa, non essendosi espressi singolarmente sul proprio gender, non sono più piccoli uomini, ma piccole persone. Ancora: Matilda, che ama leggere nonostante 2 genitori biechi e materialisti, non legge Kipling, che era razzista, ma Jane Austen. E infine le streghe. Sono calve e indossano parrucche, serve pertanto una frase che avvisi i piccoli lettori: se le donne usano le parrucche, non sono per forza streghe!

Sarebbero questi e molti altri, secondo il Telegraph, gli interventi sulle prossime riedizioni dei celebri e amatissimi libri dello scrittore inglese Roald Dahl, morto nel 1990.

Le reazioni

La rivelazione ha giustamente scatenato una levata di scudi da parte di opinionisti e intellettuali di tutto il mondo. Lo scrittore Salman Rushdie ha ricordato che Dahl non era un angelo (facendo riferimento alle accuse di antisemitismo), ma ha detto che la casa editrice dovrebbe vergognarsi. Il primo ministro inglese Rishi Sunak ha dichiarato che la letteratura deve essere protetta.

Il giornalista Michele Serra dalla sua amaca ha incitato a andare in guerra: «Non possiamo evitare di combatterla se non vogliamo perdere, tra le altre cose, libertà di espressione e libertà di giudizio, per giunta con effetto retroattivo». Nadia Terranova, che di Dahl e di letteratura per l’infanzia (e non solo) se ne intende, ha titolato il suo pezzo sulla Stampa Abbiamo smarrito l’intelligenza. Questo massacro, come osserva lo scrittore Nicola Lagioia, è lesivo del diritto di un autore che ora si ritrova a firmare testi riscritti da altri, con parole diverse da quelle usate da lui, con una sensibilità diversa e svilendo la sua autorialità.

Il fenomeno Woke

Ma è solo l’ultimo dei numerosi casi che afferiscono a una tendenza molto anglosassone che va sotto il cappello di cancel culture, o woke. La volontà di eliminare tutto ciò che potrebbe urtare le sensibilità di una parte della società a favore di una rappresentazione della realtà mai controversa, che tuteli le minoranze e i diritti civili. La stessa che ha allontanato autori figli del loro tempo come Mark Twain, Harper Lee o Flannery O’Connor dalle università americane.

Che l’educazione al rispetto dell’altro si ottenga edulcorando il linguaggio è tutto da dimostrare. Nell’accingermi a scrivere questo pezzo, ho realizzato un veloce e del tutto empirico sondaggio tra le coppie omoparentali di mia conoscenza. Il fatto che adesso nei romanzi di Dahl si parli genericamente di genitori non li fa sentire più rappresentati, come non li offendeva prima il fatto che al posto di quei genitori ci fossero un padre e una madre.

In un bel saggio sulla cancel culture, dal titolo Scorrettissimi: la cancel culture nella cultura americana, Costanza Rizzacasa ha intervistato Greg Lukianoff, presidente della fondazione FIRE per il diritto di espressione. L’attivista parla del safetyism, ovvero l’idea che la sicurezza emotiva delle giovani generazioni sia un valore sacro e prioritario rispetto agli altri, cosa che però interferisce con lo sviluppo emotivo, sociale e intellettuale dei ragazzi di oggi.

Per proteggere i nostri figli quindi siamo andati oltre e ora tendiamo a eliminare qualsiasi tipo di disagio. Ma, senza rischi, li facciamo sentire impotenti, ansiosi e depressi.

Colpisce poi questa paura e questo accanimento nei confronti di singole parole che vengono estrapolate da un corpus complesso e sfaccettato che è il testo stesso, comunque pregno di una sua morale complessiva. Questi aggettivi vengono isolati, processati e giudicati colpevoli. I poliziotti del linguaggio sono davvero al servizio dei diritti civili?

Il business delle IP

Ma forse i diritti civili c’entrano poco. È interessante mettere in evidenza che, dal 2021, la Roald Dahl Story company che gestisce e tutela i diritti di Dahl è stata acquistata da Netflix, che si è assicurata in esclusiva la trasposizione audiovisiva di Charlie e la Fabbrica di Cioccolato, Matilda, Streghe, Gli Sporcelli. Un mercato, quello delle piattaforme, ricco di pubblico ma a corto di idee, spaventato di fallire e di allontanare abbonati.

Allora ci si affida alle IP, intellectual properties, ovvero a cose che sono già di successo, che siano libri, musical, altri film, persino articoli della stampa. Vedi Mercoledì Addams, per intenderci. Idee che vengono acquistate come brand e rilavorate da sceneggiatori che spesso non rimarranno nella storia, ma che utilizzano correttamente il lessico woke.

Pubblicare i libri rimaneggiati, in accordo con l’editore Puffin e Inclusive Minds (un collettivo che lavora sull’inclusione nella letteratura per l’infanzia), è quindi principalmente parte di una ricca operazione commerciale legata alla prossima uscita di serie televisive.

Going Solo, l’autobiografia scritta da Roald Dahl, si apriva con questa frase: “una vita è fatta di un grande numero di piccoli incidenti e un piccolo numero di grandi”. Ecco, questo è grande. Speriamo rimanga un incidente isolato.

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