Futuro

Il cambio di rotta di Netflix e Tik Tok

Il colosso dello streaming propone una nuova offerta commerciale, che prevede pubblicità. Mentre il social network cinese punta a insidiare il dominio di Amazon sull’e-commerce
Credit: Luis Valladolid/ Unsplash
Tempo di lettura 6 min lettura
17 ottobre 2022 Aggiornato alle 13:30

Aria di trasformazione nella galassia delle multinazionali internet.

La prima riguarda il gigante della distribuzione online di film e serie Tv Netflix che ha fatto irruzione nel mercato del broadcasting con un rivoluzionario modello di abbonamento, ma che oggi sta iniziando a inserire la pubblicità nei suoi contenuti video.

Dopo il lancio di alcune sperimentazioni internazionali, la versione Netflix con pubblicità arriva anche in Italia, da novembre, con una forma ibrida: abbonamento più economico (5,49€ al mese invece del 7,99€ come versione base di abbonamento) integrato con inserzioni pubblicitarie durante serie Tv e film per un massimo di 4-5 minuti all’ora.

Questa è, più o meno, la formula di un broadcaster tradizionale come Sky, che unisce vari piani di abbonamento con un po’ di pubblicità, certamente meno delle TV commerciali. Ma certamente più di zero advertising. Era questa in effetti la formula vincente di Netflix, quella con cui ha sbaragliato la concorrenza: realizzazione di contenuti proprietari basati su grandi investimenti in produzione, algoritmi in grado di definire i gusti dei consumatori e sviluppare serie Tv e film adatti a questi interessi, il tutto venduto tramite piani di abbonamento progressivi per le differenti esigenze, senza interruzioni pubblicitarie.

Oggi quel modello sta trasformandosi. Netflix assicura che si tratta di un’aggiunta e non di una trasformazione. Ma c’è da chiedersi invece se non sia l’inizio di un’inversione di rotta.

Da tempo si parla della crisi di Netflix. Dopo 10 anni di crescita costante e ininterrotta, che lo ha portato dai 20 milioni di abbonati del 2011 ai 220 milioni del 2021, il 2022 è cominciato con il segno “meno”.

Intanto sono andati persi quasi un milione di abbonamenti di cittadini russi che ora non hanno più accesso al servizio. Ma ci sono state anche centinaia di migliaia di disiscrizioni che hanno superato per numero quelle dei nuovi iscritti, determinando un lieve segno meno nei numeri globali.

Gli analisti finanziari hanno alzato la bandierina rossa, gli investitori hanno cominciato a tirare i remi in barca e il risultato è che un solo anno con un segnale sostanzialmente di stabilità dei numeri (al netto della scelta politica di escludere i russi) ha spinto Netflix a cambiare il proprio modello di business.

Il mercato della pubblicità online oggi è sotto accusa per quello che viene definito il “capitalismo della sorveglianza online”, ovvero il meccanismo per cui la maggior parte delle grandi aziende digitali invece di sviluppare prodotti per i consumatori, li sviluppano per recuperare dati sui consumatori da vendere agli inserzionisti.

La virata verso il modello di business della pubblicità non è una trasformazione di poco conto.

I clienti delle big tech non sono più gli utenti che guardano i video o postano contenuti, ma gli inserzionisti che pagano per avere big data sui comportamenti delle persone.

La regressione di Netflix a questo modello è in un certo senso simbolica da questo punto di vista.

Ma c’è un altro tema che colpisce: un lievissimo segno meno nel numero di abbonamenti ha generato cadute rovinose nel titolo di borsa. Al Nasdaq le azioni di Netflix sono passate da oltre 600 dollari per azioni a poco più di 200 dollari. È la finanza dunque a guidare le scelte di prodotto, insieme alla previsione del valore futuro del valore dell’azienda. L’economia reale è un sottoprodotto di questo meccanismo e a esso si deve arrendere dunque.

In questo contesto di crisi drammatica geopolitica e di inflazione che galoppa, gli utenti di Netflix hanno dato segnali chiari di voler risparmiare sull’abbonamento. E dunque l’abbonamento low cost con pubblicità potrebbe anche venire letto da una differente prospettiva: ovvero come risposta al caro prezzi e dunque al tentativo di venire incontro alla necessità di risparmiare - anche pochi euro - al mese da parte delle famiglie italiane.

Staremo a vedere quali logiche prevarranno, nel frattempo fa notizia un evento che sembra opposto: Tik Tok sta entrando sempre di più nel mercato e-commerce.

La piattaforma di video brevi cinese Tik Tok è il gigante nella stanza nella congregazione di big tech targate Silicon Valley.

Tik Tok è stata l’app più scaricata nel 2022. Con oltre 3 miliardi di download, 1,2 miliardi di utilizzatori mensili, Tik Tok è un gigante che può trasformare l’intera geografia del web e soprattutto il dominio americano di social e e-commerce.

La vendita di prodotti è da sempre un sogno nel cassetto di ByteDance, l’azienda tech cinese dietro alla piattaforma di video brevi.

Dal 2017, anno in cui sono partite le prime sperimentazioni, a oggi sono stati venduti direttamente o indirettamente 7 miliardi di prodotti tramite Tik Tok. Ma la vendita di prodotti era una prerogativa del mercato cinese, mentre oggi trapela la notizia secondo cui Tik Tok sta preparando uno sbarco in grande stile negli Stati Uniti. Alcuni giornalisti del Guardian hanno infatti notato che su Linkedin sono aperte svariate posizioni per ruoli di responsabilità nel segmento ecommerce che dovranno lavorare nella sede Usa di Tik Tok.

Insomma sembrerebbe che ByteDance sta formando la squadra che svilupperà la vendita online nel mercato americano.

Il mercato che interessa a Tik Tok è quello del social commerce.

Un mercato che secondo svariate ricerche potrebbe raggiungere i 7.000 miliardi di dollari di transato nel 2030.

Oggi questo mercato ha un leader di nome Meta inc., che con Facebook e Instagram sta gradualmente integrando l’esperienza social di condivisione con quella e-commerce di acquisti sul sito.

L’approccio di Tik Tok sembra però molto aggressivo. Molto probabilmente la funzione di vendita dei prodotti non sarà gestita come su Meta, ovvero favorendo acquisti che comunque avvengono su piattaforme esterne, ma direttamente all’interno dell’esperienza d’uso dell’app.

La forza e il successo di Tik Tok sono dati dalla sua velocità: video brevi in rapidissima successione, che vanno dritti al punto e che permettono in pochi minuti all’algoritmo della piattaforma di profilare l’utente e proporgli ancora più video, sempre più ritagliati sui suoi gusti, interessi e desideri.

Se George Orwell dovesse ritornare in vita per cercare forme di vita simili all’occhio del Grande Fratello, probabilmente troverebbe in Tik Tok un esempio di monitoraggio pervasivo e millimetrico nella nostra vita che ha proprio i tratti minacciosi che lui paventava nel famoso romanzo.

Se dopo pochi minuti, l’algoritmo di Tik Tok è in grado di proporci video (e domani prodotti) perfettamente ritagliati sui nostri gusti, allora possiamo con una certa sicurezza che ci conosce meglio di noi.

Ancora una volta la profilazione e i big data si dimostrano il vero business model.

Gli utenti vanno e vengono, ma se la piattaforma li conosce più di quanto loro conoscono sé stessi, allora è molto probabile che continuerà a tenerli incollati o forse addirittura dipendenti dai propri video.

È evidente che tecnologia e fantascienza stanno iniziando ad assomigliarsi molto più di quanto vorremmo credere. E qualche nota di preoccupazione è bene non nasconderla.

Ora che anche Netflix inizia a integrare il modello inserzionistico, sembra che il web stia virando tutto e in maniera radicale nella direzione dei big data. Gli utenti, che oggi vogliono risparmiare sono sempre più disposti a cedere dati per ottenere sconti. Ma c’è un punto di equilibrio che forse non andrebbe superato.

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