Diritti

God is gender fluid

La Chiesa di Inghilterra istituirà una commissione per valutare la possibilità di utilizzare parole neutre per riferirsi a Dio
Credit: Andrew Seaman
Tempo di lettura 4 min lettura
16 febbraio 2023 Aggiornato alle 09:00

Nella religione cristiana, in particolare in area protestante, è possibile trovare chiese che cercano di avvicinarsi e adattarsi ai cambiamenti sociali e culturali, aprendosi anche realtà molto lontane e, a volte, in aperto conflitto con la tradizione biblica, come per il riconoscimento delle unioni omosessuali o il sacerdozio femminile. La chiesa metodista introdusse il ministero femminile già nel XVIII secolo e negli anni molte altre confessioni si sono aggiunte alla lista, consentendo alle donne di diventare ministre sacerdotali ed episcopali. È questo il caso della chiesa luterana, valdese e anglicana, solo per citarne alcune.

Comunque, la tradizione cristiana assomiglia pericolosamente a un panel “tutti maschi”. Certo, qua e là nella Bibbia c’è il racconto di qualche donna straordinaria ma in generale la storia rimane in mano agli uomini. Maschi sono i patriarchi (per definizione), i re di Israele, i Profeti, gli Apostoli; maschio è Gesù e, naturalmente, Dio. Non lo si chiama forse “Padre”?

Qualche teologo più progressista ha provato ad analizzare la questione del genere di Dio, azzardando addirittura che possa essere femmina, o almeno avere sia gli attributi materni che paterni. Niente di particolarmente innovativo, dal momento che tra i tanti modi di definire Dio nella Bibbia c’è anche “madre”.

«I cristiani già dai tempi antichi avevano compreso che Dio non è né maschio né femmina - ha affermato un portavoce della Chiesa di Inghilterra - Il punto è che i diversi modi di chiamare Dio nelle scritture non ha sempre trovato spazio nella liturgia». Una liturgia creata e definita dagli uomini, il che spinge a credere che la cristallizzazione di Dio in un essere maschile sia un fatto puramente culturale, e non necessariamente derivante dalla tradizione biblica.

Finora tutte le proposte di riconoscere a Dio attributi femminili non sono mai state considerate. Ma qualche giorno fa la Chiesa d’Inghilterra (chiesa madre della comunione Anglicana) ha dichiarato di star valutando la possibilità di introdurre termini addirittura senza genere per riferirsi a Dio. La spinta è arrivata da alcuni sacerdoti che hanno riferito di sentirsi a disagio nell’utilizzare il pronome maschile parlando di Dio e di voler introdurre un linguaggio più inclusivo nella liturgia. La Chiesa ha dunque annunciato che in primavera verrà istituita una commissione per discutere l’argomento.

Naturalmente il cambiamento, se avverrà, sarà lento dal momento che riguarderà la revisione di formule liturgiche sedimentate nei secoli, e dovrà essere approvato dal sinodo dei vescovi, l’organo collegiale che rappresenta il vertice della chiesa.

L’adattamento del linguaggio per avvicinarsi alla realtà, e dunque ai fedeli, non è comunque una novità. Già una ventina di anni fa la Chiesa d’Inghilterra aveva rivisto i suoi testi liturgici per modernizzarli e avvicinarli alla lingua parlata dalla gente, rimuovendo arcaismi ormai diventati quasi incomprensibili. La stessa Bibbia (anche in italiano) ha subito qualche cambiamento linguistico nelle traduzioni più recenti.

Non mancano, ovviamente, i critici: chi ritiene che sia inammissibile dal punto di vista dottrinale smettere di chiamare Dio “Padre” e di riferirsi a lui (o meglio, ləi) con pronomi neutri. È importante sottolineare che offrire ufficialmente la possibilità di utilizzare termini non connotati dal punto di vista del genere non implicherebbe soltanto una maggiore inclusione dei fedeli, ma anche una maggior correttezza dal punto di vista teologico. Già nel 2018 l’arcivescovo di Canterbury aveva affermato infatti che ogni modo di riferirsi a Dio deve essere in un certo grado metaforica dal momento che «Dio non è né maschio né femmina. Dio non è definibile».

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