Diritti

Israele: continuano proteste e scioperi contro il Governo

Da più di un mese, i manifestanti scendono in strada per dire “No” alla riforma della giustizia, che porterebbe la Knesset (il Parlamento) ad avere un controllo quasi totale sul sistema giudiziario
Alcuni manifestanti protestano contro il tribunale
Alcuni manifestanti protestano contro il tribunale Credit: Matan Golan/SOPA Images via ZUMA Press Wire
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16 febbraio 2023 Aggiornato alle 12:00

Una giovane donna si è spogliata rimanendo coperta solo da un costume a 2 pezzi: è successo domenica al il muro del Pianto di Gerusalemme, simbolo sacro per la comunità ebraica. L’ennesimo atto di dissenso non solo verso l’establishment rabbinico, ma anche verso le politiche di Benyamin Netanyahu, che in questo periodo sta raccogliendo moltissime critiche.

La causa di questo gesto di protesta sarebbe infatti un disegno di legge “moralista” proposto dal partito sefardita ultraortodosso Shas, di cui fa parte il ministro dell’interno Aryeh Deri, braccio destro di Netanyahu, fortemente criticato dalla Corte Suprema a causa di una recente condanna per frode fiscale. Un disegno di legge che è stato messo da parte, ma che avrebbe reso punibile con 6 mesi di carcere e con multe fino a 10.000 shekel (circa 2.700 euro) chi, al cospetto del Muro del Pianto, si fosse presentato con “abiti immodesti” o fosse andato lì per organizzare riti religiosi non conformi con l’ortodossia ebraica.

Questa azione è da contestualizzare all’interno di una cornice ben più complicata. Da gennaio, ogni sabato, le strade e i mercati delle principali città israeliane sono palco di proteste, scoppiate per dire “No” alla riforma della giustizia voluta da Netanyahu. Una riforma che molti israeliani, e il partito di opposizione di centrosinistra, definiscono ad personam perché, con l’attuazione di questo procedimento, la Knesset (il Parlamento israeliano) acquisterebbe un controllo maggiore, per non dire totale, sul sistema giudiziario.

E Netanyahu, che negli anni è stato oggetto di accuse di corruzione, frode e violazione della fiducia, potrebbe beneficiare di questa riforma, bloccando i giudici e, di conseguenza, le inchieste e i processi che lo vedono coinvolto.

Pur di fare i suoi interessi personali - che «tra l’altro, non ha mai smesso di fare in questi anni» ha spiegato una ragazza israeliana a La Svolta - è disposto a sfasciare l’impianto democratico costituito con la formazione dello Stato d’Israele nel 1948. La riforma della giustizia, firmata da Yariv Levin, Vicepremier e Ministro della Giustizia, non a caso prevede che la Knesset possa annullare a maggioranza semplice (con 61 voti su 120 totali) qualsiasi decisione della Corte Suprema, e approvare qualunque legge. Un punto, quest’ultimo, che permetterebbe di emanare leggi anche in contrasto con quelle fondamentali del Paese (che non ha una Costituzione scritta), il cui scopo è tutelare i diritti umani, civili e il principio di libertà, anche delle minoranze che, con l’approvazione della riforma, sarebbero esposte a maggiori rischi. Una prospettiva che, dunque, farebbe vacillare l’assetto democratico del Paese che si ritroverebbe privo di un potere giudiziario indipendente.

Per questo motivo, ogni sabato centinaia di migliaia di cittadini israeliani scendono in strada per esprimere la loro contrarietà verso questo provvedimento. Lunedì 13 febbraio, invece, è stato indetto uno sciopero nazionale che, come riporta il Jerusalem Post, ha visto la partecipazione di circa 90.000 persone riunite a Gerusalemme e in altre grandi città del Paese.

«La paura - racconta una ragazza israeliana a La Svolta - è quella di diventare come l’Iran. Si parte con una riforma della giustizia e poi si arrivano a imporre condotte morali sempre più rigide che stringono l’occhio agli ortodossi più conservatori».

A preoccupare, inoltre, sono le ripercussioni economiche che una simile riforma e il malcontento generale possono innescare nel Paese. In merito, il presidente Isaac Herzog parla di un possibile «collasso costituzionale e sociale». È fondamentale perciò che si raggiunga un accordo tra le varie forze politiche. Lo spettro di un’instabilità dei mercati e, di conseguenza, di un’inflazione è temuta dalle banche principali israeliane che sostengono Herzog nel suo tentativo per arrivare a un’intesa generale.

I problemi di Netanyahu però non finiscono qui; a destabilizzare Israele si aggiunge anche la questione palestinese. Domenica, il sito di informazione Axios ha diffuso la notizia della legalizzazione, da parte di Israele, di 9 avamposti coloniali nella Cisgiordania occupata, trasformandoli così in colonie ufficiali, e della decisione del Governo israeliano di collegarne altre dozzine con infrastrutture statali, come acqua ed elettricità. Sempre Axios ha riportato che il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, membro del gabinetto di sicurezza, ha annunciato l’approvazione per 10.000 nuove unità abitative negli insediamenti.

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