Diritti

Francesca Albanese: «Israele viola il diritto all’autodeterminazione palestinese»

Lo ha dichiarato questa mattina la Relatrice Speciale Onu, durante la presentazione italiana del Rapporto sui diritti umani in Palestina a Palazzo Giustiniani (Roma)
Credit: Assopacepalestina.org
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13 gennaio 2023 Aggiornato alle 21:00

«Dal 1967 Israele sta violando in maniera ostinata e continua il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi, il loro diritto a esistere come popolo». Così questa mattina la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese ha presentato alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma il Rapporto sui diritti umani in Palestina.

L’incontro è stato organizzato dal senatore Tino Magni in collaborazione con Altreconomia e Amnesty International Italia. Sono intervenuti anche lo storico Alon Confino (direttore dell’Institute for holocaust, genocide, and memory studies e professore di Storia e studi giudaici presso l’University of Massachusetts), l’antropologo Nicola Perugini (docente di Relazioni Internazionali alla University of Edinburgh), Tina Marinari (coordinatrice campagne di Amnesty International Italia) e i giornalisti Duccio Facchini e Anna Maria Selini (Altreconomia).

Albanese è la prima donna e italiana a ricoprire il ruolo di Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, un incarico affidato a esperti tecnici indipendenti per un periodo di tempo limitato. Il rapporto, pubblicato a ottobre dello scorso anno, illustra come Israele stia lavorando attivamente a un processo di “de-palestinizzazione”, attaccando la sovranità territoriale palestinese. Occupando ed espropriando terreni, frammentando e dividendo la comunità, lo stato ebraico agisce in una più ampia cornice di un pluridecennale colonialismo di insediamento che si avvale di diverse strategie.

Non solo ai palestinesi viene impedito l’accesso alle risorse naturali ostacolando il loro sostentamento materiale, ma è la loro stessa esistenza culturale a essere minacciata: la criminalizzazione della bandiera come “simbolo del terrorismo” da parte del Ministro israeliano per la Sicurezza nazionale Itama Ben-Gvir è soltanto l’esempio più recente di una chiara volontà politica in questo senso.

La negazione dell’identità, anche attraverso l’appropriazione di elementi culturali, mina la capacità dei palestinesi di organizzarsi come popolo e di rafforzare quei soggetti politici (partiti, associazioni, comitati) che portano avanti la resistenza all’oppressione.

La relatrice ha ricordato come l’uso illegale della forza armata costituisca una violazione del diritto internazionale e che «il sacrosanto diritto alla sicurezza di un popolo non può mai essere la giustificazione per la sottomissione di un altro». La prima condizione per riaprire un processo di negoziato è smantellare il regime di apartheid e discriminazione sistematica in atto da decenni, oltre che riconoscere la responsabilità dei crimini di guerra commessi da Israele.

Albanese ha anche espresso una critica alla comunità internazionale nel modo di affrontare la questione palestinese. Gli approcci economici e umanitari adottati finora hanno dimostrato di essere fallimentari, costituendo soltanto un fattore di normalizzazione dell’occupazione israeliana invece di agire per sradicarla.

Una legittimazione che passa anche attraverso le parole. «Non si può parlare di un “conflitto” israelo-palestinese, come se le forze in campo si fronteggiassero ad armi pari». E non si può continuare a eludere il problema: «il dibattito non è solo derubricato, ma viene attivamente oscurato attraverso un’opera di censura e talvolta di autocensura».

Per questo, sottolinea Albanese, c’è bisogno di un cambio di paradigma nella narrazione e nell’approccio verso la situazione in Palestina, capace di riconoscere il carattere sistematico e l’illegalità delle politiche colonialiste israeliane.

Nella presentazione ha trovato spazio anche una riflessione sull’antisemitismo, a partire dall’intervento di Alon Confino, tra i firmatari della Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo. Lo studioso ha spiegato come spesso questa parola venga strumentalizzata per rigettare qualsiasi critica rivolta a Israele e alle sue politiche. La definizione contenuta nella Dichiarazione prova a reinserire la lotta contro l’antisemitismo in un quadro più globale di opposizione a ogni discriminazione. La stessa relatrice Albanese è stata più volte accusata di antisemitismo per le sue dichiarazioni contro l’occupazione israeliana.

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