Diritti

Amnesty accusa Israele di apartheid

Con un fitto rapporto di 280 pagine, la Ong internazionale denuncia la dura discriminazione razziale del popolo palestinese a opera dello Stato ebraico. Che risponde: è un documento parziale, falso, antisemita
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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2 febbraio 2022 Aggiornato alle 15:00

Era il 1948 quando, in Sudafrica, la segregazione razziale ormai dilagante divenne ufficialmente legge dello Stato: il partito al potere, il National party, adottò formalmente l’apartheid e la popolazione non bianca (in maggioranza nel Paese) venne costretta a vivere in uno stato di inferiorità e fu soggetta a proibizioni umilianti. Quella discriminazione razziale, terminata formalmente solo nel 1994, torna oggi attuale nel rapporto pubblicato da Amnesty International e intitolato Israel’s apartheid against palestinians: cruel system of domination and crime against humanity, ovvero: “L’apartheid di Israele contro i palestinesi: un sistema crudele di dominazione e un crimine contro l’umanità”.

In 280 pagine l’organizzazione non governativa che dal 1961 lotta per la difesa dei diritti umani nel mondo analizza il modo in cui Israele “considera e tratta i palestinesi come un gruppo razziale inferiore non ebraico”, ricostruendo lo storico conflitto a partire dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948. Parla di un apartheid che tocca “diritti, politica, vita quotidiana: un sistema che domina i palestinesi a beneficio degli ebrei israeliani, privilegiati dalla legge. […] La popolazione palestinese è stata geograficamente e politicamente frammentata e subisce vari gradi di discriminazione a seconda del loro status e luogo di residenza”. Tuttavia, nonostante la vita quotidiana di chi abita in Israele sia diversa da chi vive negli OTP, i Territori Occupati Palestinesi, la discriminazione colpisce tutti: come riporta la rivista francese Orient XXI, di cui è direttore il giornalista Alain Gresh, tra i primi a visionare il rapporto, questo diventerà «una pietra miliare, perché affronta indistintamente la situazione degli uomini e delle donne palestinesi che vivono in Israele e negli OPT, i Territori Palestinesi Occupati, così come i profughi sfollati in altri Paesi».

In circa 3 anni, dal 2017 al 2021, la Ong ha condotto decine di interviste e analizzato centinaia di documenti in totale segretezza, collaborando anche con altre organizzazioni non governative rimaste finora inascoltate, come quella di veterani israeliani Breaking The Silence. Perché le voci di dissenso non sono solo palestinesi, ma provengono anche dagli stessi israeliani, tra gli ebrei come tra gli arabi. Amnesty International, ha spiegato Agnès Callamard, nuova segretaria generale dell’organizzazione per i diritti umani dal 2021, «invita la Corte penale internazionale a considerare la criminalizzazione dell’apartheid come parte delle sue indagini in corso nei territori palestinesi occupati, e chiede a tutti gli Stati di esercitare la giurisdizione universale per assicurare alla giustizia i responsabili dei crimini di segregazione razziale».

Gerusalemme, che aveva ottenuto una copia del documento prima della sua pubblicazione, aveva chiesto ad Amnesty di ritirare il rapporto, definendolo “parziale, falso, antisemita”, che lascia spazio “alle bugie delle organizzazioni terroristiche”. Ma le richieste del governo guidato dal politico ed ex militare Naftali Bennett non sono state ascoltate. E i toni si sono acuiti: il portavoce del ministero degli Esteri Lior Hayat, intervistato dal canale televisivo israeliano i24news, ha detto che «chi sostiene che Israele favorisca un regime di apartheid, o è cieco o è bugiardo». Lapid ha poi dichiarato che la Ong britannica «nega il diritto di Israele di esistere come nazione del popolo ebraico. Non è perfetta, ma è una democrazia impegnata nel rispetto del diritto internazionale, aperta alle critiche, con una stampa libera e un sistema giudiziario forte e indipendente».

Amnesty ha replicato che dire che il rapporto sia mosso da antisemitismo è “falso e infondato”, un modo per distogliere l’attenzione dalle violazioni riportate nel documento e dalle accuse rivolte alle autorità israeliane, non ai cittadini o al popolo ebraico. Come riporta Amnesty, “tra massicce requisizioni di terre e proprietà, uccisioni illegali, trasferimenti forzati, drastiche limitazioni agli spostamenti e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi”, è in corso una grave violazione dei diritti umani vietata dal pubblico internazionale. La Ong riporta numerose raccomandazioni specifiche affinché Israele possa smantellare il sistema di apartheid e la discriminazione, la segregazione e l’oppressione che lo sostengono. “Israele deve riconoscere uguali diritti a tutti i palestinesi”: come agirà stavolta, se agirà, la comunità internazionale?

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