Diritti

Israele: cosa significa la vittoria di Netanyahu per ə palestinesi?

Il nuovo premier è stato eletto grazie ai voti di gruppi sionisti estremisti, il cui peso potrebbe tradursi in un’escalation di violenza ai danni della popolazione araba
Credit: Ilia Yefimovich/dpa
Tempo di lettura 4 min lettura
8 novembre 2022 Aggiornato alle 14:00

L’ex premier israeliano Benjamin Netanyahu, leader del partito nazionalista e liberale Likud, è tornato di nuovo al potere. Dopo una campagna elettorale molto polarizzata, le elezioni del 1° novembre hanno confermato la sua coalizione con una maggioranza assoluta di 65 seggi su 120, grazie anche ai voti portati dalla formazione estremista Sionismo Religioso - dai forti sentimenti anti-arabi - guidata da Itamar Ben Gvir.

Sono proprio i 14 seggi di questo partito (insieme ai 20 guadagnati dai 2 partiti ultraortodossi Sahs ed Ebraismo della Torah Unito) a preoccupare la popolazione palestinese e quella deə israelianə moderatə.

Ben Gvir non ha mai fatto mistero di rifiutare qualsiasi compromesso con la componente palestinese della società (sono note le sue apparizioni armato di pistola nei quartieri arabi di Gerusalemme) e il fatto che il suo partito sionista sia diventato la terza forza politica del Paese lascia intuire che potrà esserci un inasprimento della linea contro la popolazione araba, in particolare nel territorio conteso della Cisgiordania.

Non che fino a questo momento la situazione fosse rosea, come ben sappiamo. Anche durante il mandato precedente, Netanyahu non aveva promosso rapporti di collaborazione con ə palestinesi, al contrario aveva fatto di tutto per indebolire l’Autorità Palestinese e Hamas contribuendo a aggravare la crisi in Cisgiordania.

Oggi però Netanyahu si trova a dover gestire gruppi dalla forte spinta religiosa e identitaria che potrebbero contribuire a far precipitare ancora di più la situazione. La maggioranza della nuova coalizione vincitrice, infatti, è a favore della completa occupazione della Cisgiordania e della sua annessione allo Stato di Israele, si oppone alla possibilità della creazione di uno stato Palestinese e vorrebbe risposte più dure per gli attacchi contro Israele.

Hazem Quasem, portavoce di Hamas a Gaza, ha affermato che, vista la nuova piega politica, ci si aspetta un aumento della violenza contro la popolazione palestinese e attacchi alla moschea Al-Aqsa a Gerusalemme. Questo porterà a un intensificarsi delle azioni di resistenza e, auspicabilmente, a una maggiore unità tra le varie fazioni palestinesi.

Più cauto si è detto Hussein al-Sheikh, segretario generale dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), il quale ha dichiarato che prima di agire l’Autorità Palestinese aspetterà di vedere quali saranno le decisioni del governo, in particolare rispetto all’occupazione della Cisgiordania, e se ci saranno iniziative per riprendere i colloqui di pace. «Noi non ci immischiamo nella politica interna israeliana - ha affermato - Il popolo israeliano ha votato ed è nel loro diritto scegliere il governo che preferiscono».

Naturalmente il fatto che questo governo si collochi così fortemente a destra e su posizioni estremiste, che considerano la componente araba-palestinese alla stregua di una razza inferiore, lascia poche speranze di una risoluzione pacifica.

Il problema del nuovo posizionamento di Israele però non è solo interno, ma anche internazionale. Se dovesse esserci un’escalation di violenza e oppressione contro la popolazione palestinese anche i rapporti con il resto del mondo arabo potrebbero farsi più tesi.

Secondo la rivista Limes, anche se “la causa palestinese è passata da un pezzo di moda, i Paesi arabi non potranno ignorare la presenza di una matrice kahanista nel nuovo governo. Non fosse altro per renderne conto alle proprie opinioni pubbliche, sempre nel mirino del fronte fondamentalista interno”.

Gli scenari che si aprono dopo il voto del 1° novembre sono dunque molti, e altrettante le loro possibilità di realizzazione. Sarà importante capire quale ruolo Netanyahu pensa di poter ritagliare per sé stesso, se riuscirà a suon di compromessi e contentini, a tenere sotto controllo le spinte estremiste dei partiti che hanno contribuito alla sua vittoria o se saranno proprio queste forze a sfruttare le sue debolezze politiche e a trascinare nuovamente il Paese nel caos. In entrambi i casi non sembra che per la popolazione palestinese si possano prevedere tempi rosei.

Leggi anche
esteri
di Chiara Manetti 4 min lettura
Esteri
di Costanza Giannelli 4 min lettura